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Responsabilità e progetto di civiltà

Essere responsabili è una partita complessa. Pongo all’attenzione due elementi, a partire da quello del ri-tornare nella realtà-che-evolve, che sono com-presenti l’uno nell’altro e che non hanno senso se non sono condotti insieme. Il primo elemento riguarda l’importanza di operare mediazioni nel mondo-che-è. Il secondo elemento è il lavoro di progettualità, che passa dalla com-prensione-in-noi della realtà. Infatti, così come non possiamo far finta che non esistano i rapporti di forza e gli interessi particolari (che vanno mediati, in una mediazione “ri-creatrice” che sia in “nel mezzo di ogni azione”), allo stesso modo dobbiamo fare i conti con il fatto che le inevitabili trasformazioni (quella che ho chiamato metamorfosi) nella realtà vanno accompagnate da un pensiero pertinente.

Si evidenzia, in tal modo, che la partita del progetto di civiltà è, al contempo, una sfida della decisione che incarna , storicizza, un pensiero che diventa decisione per ri-diventare pensiero e così via, senza sosta. La mediazione trova alimento nel pensiero che, a sua volta, trasforma la realtà ri-creandola; riflessione e decisione sono facce della stessa medaglia, non separabili. Dico che tutto questo può essere meglio chiarito con l’espressione visione politica.

Progettare, invocare visioni politiche  richiama alle profondità complesse dell’agire.

E attenzione anche, nell’utilizzo dell’aggettivo “politico”, a capire di cosa stiamo parlando. È finito un mondo: non si possono più utilizzare espressioni come campo progressista, campo conservatore; non si possono più classificare le nuove esperienze politiche in termini di destra, sinistra, centro: oggi il disagio si è fatto “direttamente” consenso e il “nemico” di quello che ancora chiamiamo popolo è la mediazione istituzionale, quel ”fastidioso”  (così viene percepito) sistema che, però, è alla base dello Stato democratico che conosciamo e che riconosciamo.

Vediamo la crisi profondissima, e de-generante, della “casta intellettuale” che, in larga parte, tenta di difendere il sistema della “casta politica” o di “accreditarsi” ai nuovi vincitori. Il progetto di civiltà ha bisogno di pensiero critico, complesso, affermativo, transdisciplinare, transculturale.

La nostra responsabilità personale e comune, nel mondo che si fatto la nostra casa, è ritorno-nella-realtà, mediazione, progettualità e conoscenza del rapporto strategico tra persona e mondo (la condizione umana globale)  e dei “segni dei tempi”.  

Vediamo le grandi difficoltà nell’adottare un linguaggio-di-realtà. Siamo immersi in un “linguaggio fotografico”, che immortala i momenti e non le transizioni e le  informalità; un linguaggio statico, che gira intorno alle superficialità, al gossip e che non coglie le complessità, anche contraddittorie, di ciò che sta accadendo in noi e nella realtà-mondo.

È cambiata un’era, i “nostri” valori vivono il “dramma della non incarnazione” in un “universalismo di maniera” e i nostri concetti-chiave sono rimasti gli stessi: ordine, sovranità, legittimità, integrazione e via dicendo. Solo ad esempio, sono chiare le parole di Henry Kissinger (Ordine mondiale, Mondadori 2017): Un quarto di secolo di crisi politiche ed economiche di cui le pratiche e gli ammonimenti occidentali sono stati considerati responsabili, o almeno corresponsabili – insieme all’implosione degli ordini regionali, ai bagni di sangue settari, al terrorismo, e a guerre finite senza vittoria -, ha messo in questione gli assunti ottimistici dell’epoca immediatamente successiva alla guerra fredda: ovvero che la diffusione della democrazia e dei liberi mercati avrebbe automaticamente creato un mondo giusto, pacifico e inclusivo.



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