Il sentimento si può solo vivere. Non tutto è razionalizzabile attraverso una ragione spinta oltre il limite di un “mistero” che appartiene alla nostra condizione umana. Ci sono domande che non hanno risposta, ad esempio: perché ami un’altra persona ?, La risposta esatta a questa domanda sbagliata è: l’amo e basta.
Se la storia, come accade, è percorsa dalla imprevedibilità e dalla impossibilità di comprensione totale, viverne il sentimento ci dovrebbe portare a com-prenderne il più possibile tutte le dimensioni nel nostro orizzonte di senso. La difficoltà sta nel fatto che non tutto ciò che accade ci è noto e chiaro fin da subito, e non potrebbe essere altrimenti; prigionieri dell’ansia da prestazione, vorremmo poter controllare e dominare ogni aspetto della nostra vita e della vita degli altri. Questa è l’illusione di chi non vive il sentimento di ciò che accade ma cerca di usare le passioni della storia per interessi di parte, alcune volte in maniera evidente, altre volte travestendo i propri atti con espressioni rassicuranti.
Nel contesto di un “progetto di civiltà”, il tema della “non razionalizzabilità” del sentimento della storia è centrale; ciascuno di noi è nella storia ma non è la storia. Ciò significa che ciascuno è responsabile “in” ciò che accade e che questa responsabilità deve viversi sapendo che siamo comunque limitati: sappiamo che c’è un mondo che non vediamo, che non possiamo controllare ma che è molto reale. Quando ci richiamiamo al realismo dovremmo domandarci se, per davvero, la nostra considerazione della realtà guardi alla globalità del “vivente complesso”.
Il cambio di rotta comincia nel renderci conto che noi siamo anche il male che percorre il mondo. Dividere la realtà tra buoni e cattivi, creando una separazione netta tra bene e male, è l’operazione classica di chi vuole “sbrigarsi” a razionalizzare, condizione per l’esercizio di un potere arrogante e malato. Il sentimento della storia, che portiamo dentro, non è mai lineare perché è sempre contraddittorio; piccole zattere di certezza in un oceano d’incertezza, insistiamo nel limitare lo sguardo nel nostro particolare, radicalizzandoci, mentre l’oceano (la realtà) ci travolge.
In questo terzo millennio siamo tecnologicamente avanzati; il paradosso è che – proprio dalla negazione del nostro “mistero” – stiamo tornando nella preistoria della condizione umana.