SIDS, Sudden Infant Death Syndrome, una sigla apparentemente asettica perché poco conosciuta, ma che tradotta in italiano fa risaltare all’istante la gravità del problema, quello cioè della “morte in culla”. E che fa presagire la pericolosità dovuta a una carenza di informazione e di consapevolezza sul tema, la stessa che sovente medici e professionisti del settore, nonché famiglie e diretti interessati, si trovano a dover riconoscere e affrontare.
CHE COS’È LA SIDS
Il termine indica infatti il decesso “improvviso e inaspettato di un lattante apparentemente sano, che rimane inspiegato anche dopo l’esecuzione di un’indagine post-mortem completa, comprendente autopsia, esame delle circostanze del decesso e revisione della storia clinica del caso”. Quella della Sids è cioè “una diagnosi di esclusione” e non si sa “ancora con esattezza perché questi bambini muoiano. È una morte che si verifica rapidamente, durante il sonno, sia di giorno sia di notte, in culla come sul passeggino, nel seggiolino dell’auto o in braccio, senza segni di sofferenza”. Con una incidenza media nei paesi occidentali, oggi, “di circa un caso ogni 2000 bambini nati vivi (in Italia circa 300 bambini l’anno)”, rappresentando così “la prima causa di morte tra l’età di un mese e un anno”, visto che “altre malattie altrettanto pericolose e potenzialmente fatali vengono prevenute o curate con successo”.
IL CONVEGNO A ROMA
Di questa si è parlato al convegno organizzato dall’associazione Semi per la Sids, svoltosi lunedì 9 aprile all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, e intitolato “Morte in culla: come abbattere il rischio con le famiglie, tra false notizie e verità scientifiche”. Incontro introdotto dall’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede Pietro Sebastiani, e moderato da Frediano Finucci, giornalista responsabile della redazione economia ed esteri del Tg La7.
LE RACCOMANDAZIONI
Ci sono infatti precauzioni ben precise da adottare, che l’associazione fa circolare con pervicacia attraverso le proprie campagne di sensibilizzazione. Per esempio, la posizione corretta con la quale mettere a dormire i bimbi è sulla schiena e non a pancia in giù, su un materasso rigido senza cuscino, ed è consigliato il sacco nanna. No categorico quindi a peluche, paracolpi o altri oggetti. Bene invece fare dormire il piccolo nella stanza dei genitori, ma non nel loro stesso letto. Vietato poi fumare durante la gravidanza, e soprattutto, in seguito alla nascita, non tenere il figlio in stanze dove si fuma. Infine, un altro accorgimento positivo è quello di farlo allattare dal seno, e di non coprirlo troppo, in quanto la temperatura corporea ideale dell’infante è di 18-20 gradi.
LA TESTIMONIANZA
“Quando ho perso mia figlia Anita per la Sids ho cominciato a militare nell’associazione, ma prima ho capito che ero una ignorante, che cioè non conoscevo il tema della Sids, perché se ne parlava pochissimo”, dice Allegra Bonomi, presidente dell’associazione Semi per la SIDS. “Ricordavo a malapena della domanda di una mamma e di una risposta rassicurante datale da un medico, che di fatto però negava il problema. Da lì ho cominciato a interrogarmi su cosa si potesse fare: ho cercato di trasformare un dramma personale in qualcosa che potesse essere utile al prossimo. La condivisione e compassione rispetto al problema è importantissima”, aggiunge. Ci sono cioè risposte da trovare attraverso la condivisione e l’esempio, ha affermato Bonomi, spiegando come il lavoro dell’associazione si sviluppi su una prevenzione a tre livelli: istituzionale, creando sinergie con le regioni e dialogando in particolare per ottenere centri di riferimento per i medici e per chi si trova ad affrontare questo genere di problemi. Poi a livello di campagne informative, e infine direttamente a contatto con gli operatori sanitari, per fare un lavoro di sensibilizzazione per le ricordare le raccomandazione, da mettere sempre in primo piano.
L’ASSOCIAZIONE “SEMI PER LA SIDS”
L’Associazione “Semi per la Sids” nasce infatti nel 1991 su iniziativa di Pietro e Maria Cristina Sebastiani, e di un piccolo gruppo di genitori che si sono trovati ad affrontare in prima persona la tragicità di una simile condizione. Per questo, l’impegno fondamentale dell’associazione è di “assistere in tempi rapidi le famiglie colpite da questo drammatico evento per informarle sulla vera causa di morte dei loro bambini e per evitare che al dolore si aggiunga anche un devastante senso di colpa”. Per i figli invece successivi ad un caso di questo genere vengono messi in campo “programmi che prevedono anche monitor cardiorespiratori a domicilio”, per cercare di intervenire sulle possibilità di fattori genetici, di fatto però soltanto ipotetici. Altri compiti svolti dall’associazione sono infine prevenzione, dialogo con i medici, stimolo e soprattutto “sostenere la ricerca”, per la quale vengono bandite “borse di studio per l’Italia e per l’estero, finanziate ricerche epidemiologiche e organizzati congressi scientifici”.
L’EVOLUZIONE DELLA SENSIBILITÀ SUL PROBLEMA
“Nel 1995 si affermava che ben 6 mila bambini all’anno morivano nel sonno e non si capiva perché”, dice Raffaele Piumelli, responsabile Centro Disturbi Respiratori nel Sonno – AOU Meyer. Si parla infatti di decessi improvvisi tra gli uno e i dodici mesi, ed è quando si verifica l’assenza di cause congenite o acquisite che si può parlare di Sids, cioè di morte inspiegabile. “Anni fa si ipotizzavano essere causata da tutto e il contrario di tutto, nel tempo però si è riusciti ad elaborare un modello concettuale. E le campagne mediatiche dovrebbero fare attenzione alla riduzione del rischio”. Nel ’96 Piumelli ricorda il primo tentativo di sensibilizzazione mediatica, che però non andò per nulla a buon fine. Ma col tempo si è migliorato, dopodiché si è cominciato con il lavoro sul problema a livello di regioni. “I dati ci dicono che il 25 per cento dei casi registrati è dovuto alla condivisione del letto. Per il resto non ci sono dati nazionali, ma sappiamo in maniera inequivocabile che per la diagnosi bisogna andare a fondo dei singoli casi”.
L’INTERVENTO DI STEFANO VELLA, PRESIDENTE AIFA
“Il mio centro fa ricerca su tutte le malattie ma ha un obiettivo principale, quello della lotta alla diseguaglianze, in un mondo che lo è su tanti fattori ma che nella sanità sono intollerabili, non solo tra paesi ma anche all’interno di quelli più ricchi”, dice invece Stefano Vella (nella foto), presidente AIFA e direttore del Centro Nazionale per la Salute Globale. “Cause sicuramente legate alla povertà, alla mancanza di cure, ma anche di conoscenze del tema. Una donna su venti muore di parto in Africa, e metà dei bambini del mondo non sono vaccinati”. Spesso poi si muore anche perché non c’è l’accesso alle cure. “Come Aifa cerchiamo di facilitare l’accesso ai farmaci, che andrebbero considerati come bene comune. Il pontefice più volte ha riunito i grandi gruppi farmaceutici e ha detto loro con forza: non contesto il fatto che dovete fare profitti, ma vedete di darvi una mossa per risolvere i problemi comuni che ci sono. E queste diseguaglianze esistono anche per malattie come la Sids, perché non c’è informazione, conoscenza, e quindi prevenzione e cura”.
LE PAROLE DI MONSIGNOR BRUNO MARIA DUFFÈ
“Tragedie come la Sids toccano la parte più intima dei genitori e delle persone loro più vicine, e mette in luce il carattere paradossale della vita umana”, ha infine commentato monsignor Bruno Marie Duffé, segretario del dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede. “Ci ricordano che la nostra esperienza è contrassegnata dalla fiducia ma anche dalla fragilità, come di fronte all’esperienza della vita di un bambino, la cui morte amplifica tutte le nostre domande, esistenziali, morali, spirituali”. Domande che oscillano tra senso di colpa e ricerca del mistero della vita, e che mettono di fronte a volte alle proprie responsabilità umane, prosegue il prelato. “Domande che riguardano la morale, l’origine, il valore, il futuro della vita e della spiritualità, di ciò che regala il senso e il soffio della vita. E infine, la responsabilità umana, ovvero ciò che tocca a noi, il prendersi cura della vita. Questo è espressione della nostra umanità”.
IL DOLORE, IL MISTERO E LO SGUARDO DI FEDE
Alcuni, dopo tali esperienze, ammettono di avere uno sguardo diverso a Cristo crocifisso, racconta il religioso. Ma tutti ammettono di sentire il bisogno di fare silenzio. “Cosa dire, fare, sperare? A volte ci sono parole maldestre rivolte a questo lutto. Che nasce dal carattere assolutamente unico di ogni bambino, che ha sua storia, origine, nome, sguardo, sorriso, amore. Le associazioni che poi si fanno carico del problema spesso vengono gestite da genitori che hanno a loro volta perso un figlio: si tratta di una forma nuova di maternità o di paternità”.