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Tra politica e tecnologia

Ragionare di progetto di civiltà significa praticare mediazioni, maturare visioni e provare a immaginare scenari progettuali. Bisogna partire dai dati di realtà e, a mio parere, uno di quelli che più condiziona le nostre vite è, come nota Massimo Gaggi (Homo premium, Editori Laterza 2018, pag. XVIII), il ritardo della politica rispetto alla tecnologia. Scrive Gaggi: più ancora che sui tributi, sulla tutela della privacy e sul contrasto dei monopoli, il ritardo della politica sulla tecnologia è pesante sui fronti della trasformazione del mercato del lavoro, dell’adeguamento del sistema scolastico e di aggiornamento professionale e su quello dell’impatto dell’universo digitale sui processi decisionali della politica e sull’attività dei partiti.

Il mio punto è che, in questo confronto tra politica e tecnologia, è la seconda a vincere anzitutto dal punto di vista culturale. La tecnologia, infatti, vive di innovazione e ha lo sguardo obbligatoriamente rivolto in avanti. È la politica a essere rimasta “novecentesca”, depositaria di un pensiero che si culla nella sua pur importantissima tradizione. Il problema di oggi, allora, riguarda un ri-pensamento profondo della natura della politica in senso complesso e affermativo, al contempo arte della mediazione dei rapporti di forza e degli interessi particolari e scienza della progettualità strategica.

Il ritardo della politica, non solo rispetto alla tecnologia ma rispetto alla vita in quanto tale, si porta dietro – inevitabilmente – il disagio (fino al rifiuto) delle forme di democrazia rappresentativa che ben conosciamo e riconosciamo. Nella percezione collettiva sta emergendo un problema di legittimità dei “rappresentanti” e delle Istituzioni, fino allo Stato. Sostiene Gaggi (Homo premium, Editori Laterza 2018, pag. XX, che la blockchain (…) viene invocata per promuovere la democrazia diretta elettronica e una rivoluzione dell’organizzazione amministrativa dello Stato).

È possibile, scrive Gaggi (Homo premium, Editori Laterza 2018, pag. XIX) (…) che si stia innescando quello che il giurista della Columbia University Tim Wu definisce “un monumentale trasferimento di fiducia sociale: quando senti di non poter più credere nelle istituzioni umane, ti affidi al linguaggio di codifica dei computer”.

Nel quadro del “digitale trionfante” siamo chiamati a ragionare sia nei termini del futuro della politica (dello Stato, della democrazia, del governo) sia nei termini dell’imminenza dei crescenti problemi di coesione sociale causati dalle questioni del lavoro e della distribuzione del reddito; il che si colloca nell’aumento delle diseguaglianze a livello di sistemi nazionali e a livello globale e nella progressiva erosione del ceto medio. A che punto siamo ? La rivoluzione digitale è unica nella storia dell’uomo, benché sia molto più radicale e profonda delle precedenti, o è in linea con quanto è sempre accaduto ? Personalmente ritengo che la riflessione vada approfondita. Intanto, così scrive Gaggi (Homo premium, Editori Laterza 2018, pag. XXI): nelle rivoluzioni precedenti le braccia dell’agricoltura erano passate all’industria e quando anche qui erano arrivati i robot, quelle delle fabbriche erano emigrate verso lavori di maggior contenuto cognitivo. Ma ora l’intelligenza artificiale comincia a sostituire anche molte mansioni intellettuali degli addetti ai servizi e di varie categorie di professionisti: analisti, medici, commercialisti, agenti di viaggio, giornalisti, perfino avvocati.



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