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Marmo, cromite e talco. I nuovi affari dello Stato Islamico

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Marmo, cromite e talco per bambini. Questo è il nuovo mercato con cui si finanza lo Stato Islamico. Mercoledì il governo dell’Afghanistan ha confermato che effettivamente l’organizzazione terroristica sfrutta le miniere per fare cassa e continuare a finanziarsi. La denuncia era partita il giorno prima dall’ong Global Witness che, con numeri in mano, sostiene che il gruppo jihadista guadagna circa 300 milioni di dollari all’anno con quest’attività.

Tra tutte le materie prima, il business più produttivo è quello dello sfruttamento delle miniere di talco. “L’industria del talco produrrà entro il 2021 circa 3,2 miliardi di dollari – si legge nel report di Global Witness -. Il 35% delle importazioni mondiali provengono dal Pakistan che, a sua volta, si fornisce nell’80% dalle miniere dell’Afghanistan. Il 42% di queste esportazioni sono destinate agli Stati Uniti e il 36% all’Unione europea, specialmente in Italia e Norvegia”.

Il portavoce del ministro della Difesa, Mohamad Radmanesh, ha dichiarato che è vero “il report sullo sfruttamento delle miniere in mano dello Stato Islamico e altri gruppi terroristi, che ottengono fondi in questo modo per acquistare armi, munizioni ed esplosivi in Paesi stranieri”.  Secondo il quotidiano The Afghanistan Times, le miniere sfruttate da Isis sono principalmente in Achin, provincia Nangarhar, e in Logar e Badakhshan.

Il report di Global Witness intitolato “Prenderemo le miniere a qualsiasi prezzo: lo Stato Islamico, i talebani e le montagne di talco dell’Afghanistan”, si basa su interviste, analisi e immagini satellitari. L’organizzazione si specializza in conflitti legati al controllo di risorse naturali. Secondo l’indagine, lo sfruttamento delle miniere di talco afghano è diventato “una priorità strategica per Isis nel Paese” ed è al centro dello scontro tra jihadisti e talebani, ma anche fonte di corruzione da parte dello Stato.

Il talco è l’elemento principale di molti prodotti cosmetici, pitture e plastici. L’ong ha spiegato che, una volta estratto dalle montagne afghane, lo Stato Islamico porta il talco nella frontiera con il Pakistan e mescola il prodotto con altre sostanze prima di farlo partire per l’esportazione.

L’Afghanistan dipende ancora del finanziamento internazionale, ma potrebbe creare un’economia sostenibile se prende in mano il controllo di queste fonti di reddito. Global Witness sostiene che le ricchezze prodotte dal settore “dovrebbero e potrebbero finanziare lo sviluppo e i servizi dello Stato, ma se non si prendono misure preventive sarà fonte di corruzione e ancora più violenza”. Purtroppo, il piano per evitare la malversazione delle risorse è stato il divieto di esportazione di talco da parte di Kabul nel 2015. Ma forse l’alternativa è implementare regole e controlli più severi sulle compagnie che vendono le materie prime pakistane nell’Unione europea e negli Stati Uniti.



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