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Ambasciata a Gerusalemme, così il presidente Trump sta facendo la storia

Sono 32 le rappresentanze diplomatiche che prenderanno parte alle celebrazioni di questa sera per l’apertura della nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme. Gli inviti fatti dalla amministrazione Trump per questo evento epocale, per il quale si prevedono circa mille presenze, erano in origine 86, per la maggior parte declinati.

L’Europa sarà presente con quattro ambasciate (Austria, Repubblica Ceca, Romania e Ungheria), mentre i delegati degli altri 24 Paesi membri, pur tutti presenti con sedi diplomatiche in Israele, come l’Italia, hanno più o meno apertamente disatteso l’invito.

Le assenze non sorprendono, dato che il voto del 21 dicembre scorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di condanna alla decisione statunitense di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme capitale, aveva visto 21 Paesi assenti, 35 astenuti, 12 contrari e ben 128 Paesi favorevoli alla condanna.

Il riconoscimento ufficiale di Israele da parte del consesso internazionale, come noto, parte dalla approvazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 29 novembre 1947 del piano di partizione della Palestina, che prevedeva la costituzione di due Stati indipendenti, uno ebraico e l’altro arabo, passa per l’ammissione dell’Assemblea Generale, l’11 maggio 1949, dello Stato Ebraico a tutti gli effetti come membro delle Nazioni Unite, in quanto riconosciuto portatore dei valori della sua Carta Fondante.

Più controversa, invece, e senza precedenti in termini, la questione della sua capitale, eletta in Gerusalemme da parte di Israele, che la consacra nella sua Legge Fondamentale e che ne rivendica i 3000 anni di storia, da quando fu capitale del Regno di David.

La capitale può esser definita di per sé come la citta più importante per uno Stato, la sede del governo e dell’apparato amministrativo, scelta deliberatamente dagli Stati sovrani, non è mai stata oggetto di disputa internazionale, nemmeno quando essa coinvolga il riconoscimento di entità statutali (ve ne sono oltre cento nel mondo).

Se per le Nazioni Unite il riconoscimento della Capitale di Israele è, invece, controverso ed è rimesso alle parti in conflitto dal 1948, per gli Stati Uniti d’America, viceversa, la capitale di Israele è stata riconosciuta con una legge del 1995, approvata dal Congresso, che va sotto il nome di Jerusalem Embassy Act, la quale non solo prevede il riconoscimento di Gerusalemme come città indivisa, ma sancisce l’obbligo per la rappresentanza statunitense di trasferirvi la sede.

Questo obbligo doveva essere evaso già entro il termine del 31 maggio 1999, ma prevedeva anche la facoltà per il Presidente statunitense di rimandarne l’applicazione, con rinvii di sei mesi in sei mesi. Da allora, ogni Presidente, da Clinton, a Bush, a Obama, ne ha applicato il rimando, per assunti motivi di “sicurezza nazionale”, pagando una sanzione pecuniaria per l’inadempimento.

Fino a Donald Trump, che, anche a seguito della approvazione all’unanimità da parte del Senato degli Stati Uniti della riunificazione di Gerusalemme, il 6 dicembre 2017 ha riconosciuto quest’ultima come capitale dello Stato d’Israele, ordinandone il trasferimento dell’Ambasciata.

“Il Presidente Trump sta facendo la storia”, ha detto il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Una storia che, a ben leggerla, per lo Stato d’Israele era già scritta.



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