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Cosa cambia in Libano con le elezioni vinte da Hezbollah?

LIBANO

Secondo i primi risultati ufficiosi delle elezioni parlamentari libanesi di ieri che stanno circolando sui media, Hezbollah e i partiti suoi alleati si sono assicurati più della metà dei 128 seggi in palio. Buona però anche la performance del principale rivale di Hezbollah, il partito Futuro del premier Saad Hariri, che dovrebbe emergere come il principale partito sunnita del nuovo parlamento, garantendosi così la premiership come vuole la Costituzione, secondo cui la posizione di primo ministro deve essere occupata da un sunnita. Ma l’alleanza 14 marzo di cui Hariri era il volto più noto si è di fatto disintegrata, anche a seguito del disinteresse del suo principale sponsor, l’Arabia Saudita.

Sarebbero 67 i seggi assicuratisi da Hezbollah e dai suoi alleati, che includono il movimento sciita Amal guidato dallo speaker del parlamento Nabih Berri, il Movimento Cristiano Patriottico Libero creato dal presidente Michel Aoun e altri che non hanno problemi a volare sotto le ali minacciose di Hezbollah.

I partiti sunniti alleati di Hezbollah hanno raccolto un buon risultato a Beirut, Tripoli e Sidone, roccaforti del partito di Hariri, al punto che il giornale filo-Hezbollah al-Akhbar è uscito oggi con il titolo “lo schiaffo”. Tra i candidati che ce l’hanno fatta c’è Jamil al-Sayyed, un ex generale sciita e ex capo dell’intelligence unito da un forte rapporto di amicizia col presidente siriano Bashar al-Assad. Ad entrare in parlamento saranno inoltre anche cinque figure che occupavano posizioni preminenti al tempo in cui la Siria era il dominus del Paese.

Se questi saranno i risultati, si profila senz’altro un altro governo di coalizione come quello uscente, in cui saranno rappresentate varie forze politiche di diversa estrazione confessionale, incluso Hezbollah, che confermerebbe la presenza di suoi ministri nell’esecutivo. A guidare l’esecutivo sarebbe senz’altro richiamato Saad Hariri.

Sono state elezioni difficili, marcate da una nuova legge elettorale di tipo proporzionale che ha diviso il Paese in 15 circoscrizioni. Il voto si è inoltre tenuto in un clima pesante, segnato dalle polemiche sulla partecipazione delle milizie di Hezbollah nella guerra civile siriana, ma anche dalla pesante situazione economica del paese, gravato da una disoccupazione alle stelle, da un numero esorbitante di rifugiati siriani e da un debito pubblico al 150% del Pil.

Le elezioni di ieri si sono tenute inoltre cinque anni in ritardo, visto che la scadenza naturale del parlamento era nel 2013 e da allora l’organo legislativo ha prorogato per due volte la sua durata. Un’anomalia dettata dalla situazione creata dalla guerra in Siria, che ha visto i libanesi dividersi tra sostenitori e detrattori di Assad ed Hezbollah lanciarsi nel conflitto con i suoi temibili miliziani e le sue armi di fabbricazione iraniana.

La questione dell’egemonia di Hezbollah è però rimasta sotto traccia durante la campagna elettorale, anche per la rassegnazione dei suoi avversari che non sanno come tenere sotto controllo un movimento che risulta essere più potente dello stesso esercito regolare. La presenza di Hezbollah al governo, se sarà come probabile confermata, riaprirà le tensioni tra l’Arabia Saudita, che vede Hezbollah come il fumo negli occhi, e l’Iran, che di Hezbollah è il principale sponsor.

Non è chiaro quanto abbia influito sul voto l’episodio che lo scorso novembre ha visto protagonista Hariri, tenuto in ostaggio contro la sua volontà in Arabia Saudita per la sua presunta incapacità di tenere le redini di Hezbollah. Allora i libanesi reagirono con clamore, pretendendo il ritorno di Hariri in patria e la fine delle ingerenze saudite negli affari interni del paese.

Ma c’è una parte di Paese che è stanca invece del condizionamento esercitato dall’Iran. Per Teheran, il Libano rappresenta un elemento chiave della sua strategia di creazione di un “corridoio sciita” che colleghi l’Iran al Mediterraneo e permetta a Teheran di rifornire di armi i suoi alleati di Hezbollah. Un’evoluzione che impensierisce non poco Israele, al punto che sono molto gli osservatori che reputano probabile una nuova guerra tra Israele ed Hezbollah come quella deflagrata nell’estate del 2006. Con l’aggravante che questa volta, a combattere insieme ad Hezbollah, ci sarebbero decine di migliaia di volontari sciiti reclutati dall’Iran e i Guardiani della Rivoluzione, attualmente stanziati a pochi chilometri dal confine con lo Stato ebraico.

Lo strapotere di Hezbollah rischia inoltre di mettere a repentaglio il fragile equilibrio di un Paese spaccato lungo linee etniche e confessionali e conteso tra le varie potenze regionali. Un Paese che ha subito più di altri le conseguenze della guerra allo Stato islamico, che negli anni scorsi ha preso di mira e colpito anche il Libano. La forza combattente di Hezbollah, che ha saputo respingere la penetrazione delle bandiere nere, è uno dei fattori che ne determina oggi la popolarità, ma anche i timori delle altre comunità confessionali, intimidite dallo strapotere di questo stato nello Stato. Uno strapotere che, visti i risultati elettorali, è ben più che una metafora.



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