Recep Tayyip Erdogan ama presentarsi come paladino della causa palestinese. Ed è in campagna elettorale: si vota il 24 giugno per rinnovare la carica del presidente, cioè la sua, e il Parlamento. Quale miglior carta da giocare per il rais dunque di un summit d’emergenza a Istanbul dell’organismo panislamico più grande, l’Organizzazione della Cooperazione Islamica – 57 membri di vari continenti – di cui la Turchia ricopre guarda caso la presidenza di turno? Un forum perfetto, per agitare davanti all’opinione pubblica interna ed internazionale la solidarietà islamica verso i palestinesi, vittime – parole di Erdogan – di “genocidio” da parte di uno “stato terrorista” come Israele, e per scattare tante photo opportunity con l’establishment islamico in un contesto solenne dove il rais turco può esibire le virtù della leadership che intende esercitare dallo scranno più alto per i prossimi lustri, se gli elettori glielo consentiranno il mese prossimo.
L’occasione per innalzare i verdi vessilli dell’Islam deriva dagli scontri di lunedì – giorno dell’inaugurazione dell’ambasciata americana di Gerusalemme – al confine tra la striscia di Gaza ed Israele, e all’elevato numero – una sessantina – di morti palestinesi registrato a bilancio, considerando anche la coda del giorno dopo, insieme a 2.500 feriti. Addossati all’IDF, l’esercito israeliano posto a presidio delle barriere che dividono Gaza dallo Stato Ebraico e che i manifestanti volevano abbattere per sconfinare, come incitati a fare da Hamas. Molte, moltissime le dita puntate su Israele, a partire da quelle dell’Onu. Non si contano davvero quanti in questi giorni hanno ceduto alla tentazione di censurare Israele e il suo esercito. Un piatto troppo ricco per Erdogan per non ficcarcisi, e rimescolarlo con ingredienti propri.
Per questo summit di un organismo che aveva già convocato a dicembre, quando si trattò di condannare il riconoscimento di Gerusalemme a capitale di Israele da parte di Donald Trump, Erdogan ha predisposto per bene la macchina organizzativa. L’ha fatta precedere da una campagna diplomatica per assicurarsi la partecipazione della maggior parte dei vertici dei 57 paesi membri. Tra le adesioni più illustri quelle del re di Giordania Abdallah, del presidente dell’Afghanistan Ashraf Gani, del presidente iraniano Hassan Rohani, dell’emiro del Kuwait Sheikh Sabah al-Ahmed al-Jaber Al Sabah, dell’emiro del Qatar Sheikh Tamim bin Hamad Al-Thani, del presidente mauritano Mohammad Ould Abdulaziz, e non poteva mancare la partecipazione del controverso presidente del Sudan Omar al Bashir. Ma altri paesi si sono limitati a mandare, in un segnale incontrovertibile, solo il proprio ministro degli esteri o altri membri di governo: così l’Arabia Saudita e l’Egitto per esempio, che sono i paesi più distanti dalla linea oltranzista e antiamericana di Ankara.
Il vertice è stato aperto dalle dichiarazioni perentorie del segretario generale dell’Oci, Yousef Al-Othaimeen: Israele ha commesso “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità” uccidendo decine di palestinesi riuniti alla barriera di confine con la Striscia di Gaza per protestare contro la decisione americana di trasferire l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. “Aprire il fuoco su palestinesi indifesi”, ha detto il segretario, “è una grave violazione del diritto internazionale, che costituisce un palese crimine di guerra e contro l’umanità secondo lo Statuto di Roma” della Corte penale internazionale. Le misure dallo Stato ebraico, rappresentano pertanto, è la conclusione di Al-Othaimeen, “un tipo di aggressione di cui Israele deve essere ritenuto responsabile”.
Per il segretario dell’Oic, è necessario varare una commissione d’inchiesta internazionale, e appoggia in tal senso l’iniziativa avanzata dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. “Appoggiamo la proposta del segretario generale dell’Onu di avviare un’inchiesta indipendente e trasparente sull’aggressione delle forze di occupazione israeliane che hanno intenzionalmente aperto il fuoco su civili disarmati”, ha detto Al Othaimin.
L’Oic ha invocato l’unità dei propri membri anche per assumere una posizione comune, netta e definitiva sull’altra questione calda sul tappeto: Gerusalemme. A ribadirlo è stato il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, per il quale i paesi islamici devono “garantire insieme” che altri Stati “non seguano gli Usa” trasferendo le loro ambasciate in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. Bisogna fermare immediatamente la deriva pericolosa che ha visto il Guatemala inaugurare recentemente la propria ambasciata a Gerusalemme, seguito tra pochi giorni dal Paraguay. Cavusoglu ha approfittato dell’occasione inoltre per sottolineare che i paesi islamici riuniti nell’Oic si adopereranno affinché non sia consentita alcuna modifica allo status di Gerusalemme.
Al termine del vertice, i partecipanti sono stati invitati a partecipare al raduno di massa organizzato dal rais in persona in solidarietà con il popolo palestinese e per protestare contro gli abusi dell’esercito israeliano. Ma al rally, almeno secondo la stampa, si è visto solo il premier palestinese Rami Hamdallah, presente a Istanbul al posto di Abu Mazen che soffre dei postumi di un intervento chirurgico all’orecchio.