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Io, Calenda e il rassemblement republicain

Di Costanza Hermanin

Da quando ho stuzzicato Carlo Calenda su twitter con l’idea di un fronte comune delle forze politiche che intendono opporsi a un possibile cartello Lega-CinqueStelle, la discussione su ciò che avevo chiamato rassemblement republicain, ribattezzato da Calenda “Fronte Repubblicano”, è dilagata in fretta. La domanda era partita dalla mia esperienza del movimento che, nel 2002, si era opposto a Jean-Marie Le Pen durante il secondo turno delle presidenziali francesi. In quell’occasione, persino Jean-Luc Mélanchon aveva aderito a un fronte delle forze repubblicane invitando i suoi elettori a votare per Chirac.

LE FRATTURE

Stabilire un fronte tra compagini di forze politiche disomogenee, Lega-Cinque Stelle da una parte, e altre forze politiche, dall’altra, implica l’identificazione di una frattura. Negli ultimi due giorni di fratture ne abbiamo potute constatare almeno due.

LO STATO DI DIRITTO E LE DEMOCRAZIE ILLIBERALI 

La prima è il rispetto per le istituzioni di garanzia della Repubblica, nel caso in specie della Presidenza. In termini di opportunità politica, il rifiuto opposto a Savona da parte di Mattarella ha creato più difficoltà agli oppositori del “Salvimaio” di quanto non avrebbe fatto la sua accettazione. Ma i dubbi sulla legalità di quell’azione, gridati in piazza fino a minacciare la messa in stato d’accusa per attentato alla Costituzione, sono stati palesemente evocati al solo fine di aizzare le folle in un momento di difficoltà. Tanto che l’idea dell’impeachment è rapidamente venuta meno per inopportunità conclamata.  L’istituzione della Presidenza non può essere vilipesa dal primo che passa e scrive sui social, tantomeno dai capi di forze politiche che occupano i ranghi del Parlamento. La democrazia è fatta di pesi e contrappesi e chi sta al gioco democratico deve rispettare gli uni e gli altri. Il rispetto totale dello Stato di diritto, così come sancito nella Costituzione, è la prima frattura su cui si può e si deve articolare un fronte tra le forze politiche che rispettano questo principio e quelle che non lo fanno.

Si tratta di una frattura tanto più grave, in quanto il nostro paese non è il primo in cui forze politiche legittimate da risultati elettorali, si arrogano l’iniziativa di modificare unilateralmente istituzioni che esistono a tutela dello Stato di diritto stesso. Lo si è visto in Polonia, dove dal dicembre 2015 la Corte Costituzionale è sotto scacco da parte del potere esecutivo e l’indipendenza dei media è stata altrettanto limitata da leggi ad hoc e nomine politiche.  È accaduto, e continua ad accadere, nell’Ungheria di Orbán, dove il potere giudiziario è stato messo a tacere più o meno a tutti i livelli, i media sono controllati dallo Stato, ONG e Università costrette a emigrare in Stati vicini.

È utile ricordare che queste due “democrazie illiberali”, come esse stesse amano definirsi, sono capeggiate dai referenti europei di quelli che sono i due partiti politici che si candidano a guidare l’Italia.

L’EUROPA

La seconda frattura evidente è l’interpretazione della nostra relazione con l’Europa. Come rivelato dal caso Savona, la cancellazione dell’uscita dall’Euro dal programma dei due schieramenti e dal contratto di governo è stata poco più che un’operazione cosmetica. Ma è anche stato il pretesto perfetto su cui Salvini ha potuto far leva per affondare le trattative sulla formazione del governo Conte.  Basterebbe poi andare a vedere come votano i due schieramenti a Strasburgo -il Movimento Cinque Stelle, per esempio, ha votato compatto contro la risoluzione per ridistribuire i rifugiati fuori dall’Italia- per capire che è lontana l’intenzione di riformare l’Europa. L’obiettivo di entrambi, così come dei loro alleati esteri – includiamo Putin o chi altro armeggi con i nostri social media durante le campagne elettorali in giro per il mondo – è affondarla.

È vero: ogni consultazione recente che si è incentrata sull’Europa, con l’unica eccezione di quella francese, ha fatto male alla tenuta del progetto europeo. Ma come pensare a una prossima campagna elettorale che non si sviluppi attorno a questa frattura? Da questo punto di vista, una delle sfide principali è imparare a comunicare, in primo luogo, che cos’è che “ci fa bene” dell’Europa e, secondo, cos’è che va male e come va riformato. In una situazione di tensione così alta, l’europeismo non può essere becero, impreciso, o acritico. C’è bisogno di una serie di proposte di riforma dell’Unione che possano convincere i nostri concittadini che il bicchiere è molto più pieno di quanto non sia vuoto e che rimanendo in gioco lo si possa riempire di più.

Con i toni che ha raggiunto lo scontro in questi giorni, cercare una posizione unitaria attorno a queste due fratture è il minimo sindacale. Pensare di lanciare un progetto elettorale su questa base è assai più complesso e necessita, a mio avviso, di alcune premesse indispensabili.

Primo, non si può fare un fronte “a guida di qualcuno”. Un fronte non è un cuneo, con pochi davanti e tanti dietro. Secondo, si fa tra forze politiche ma senza simboli partito. Si tratterebbe altrimenti di una mera riproduzione dell’ultima, perdente, coalizione elettorale con pochissime possibilità di allargamento. Né può riproporre, inalterate, le personalità politiche che hanno perso di brutto le ultime consultazioni. Se l’intento è davvero “far fronte” sulla base delle due, pericolosissime, spaccature descritte qui sopra, il senso di responsabilità dovrebbe dettare ai maggiorenti dei partiti un approccio più generoso nei confronti dei loro colleghi non maggiorenti. L’intento di ogni fronte è allargare il fronte, per esempio il fronte di chi ha voglia di investirsi nella politica attiva. Chi ha votato per Lega e Cinque Stelle, in tanti casi, ha votato per degli sconosciuti pur di non votare le “élites politiche della poltrona”. Bisognerebbe decidersi a toglier loro questo argomento.

Da qui a immaginare una struttura di governance che possa comporre delle liste elettorali, la strada è accidentata, ma, se si cominciasse da alcuni principi di base condivisi, potrebbe diventare percorribile.

 

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