Qualcosa sul fronte politico sembra muoversi e forse possiamo attenderci a breve un governo nei pieni poteri. A quel punto, la XVIII legislatura della Repubblica italiana potrà mettersi con decisione a lavoro sui temi più urgenti, tra cui quello della Difesa, che da anni aspetta una riforma del comparto. Eppure, un documento strategico per realizzarla esiste. È il Libro bianco del 2015, che dopo tre anni non ha però ancora visto la sua attuazione, se non l’esame (favorevole) della Commissione Difesa del Senato. E non servono certo i fatti degli ultimi giorni, come l’ombra di una nuova crisi iraniana e il raffreddamento dei rapporti tra l’Europa e gli Stati Uniti, per comprendere l’urgenza di rinnovare il sistema-Difesa italiano. L’obiettivo è garantire le capacità necessarie alla sicurezza del Paese.
UN’URGENZA ANCORA PIÙ URGENTE
Già tre anni fa, quando il ministro della Difesa Roberta Pinotti presentava il Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, si illustrava la riforma come necessaria in virtù di un contesto internazionale profondamente diverso rispetto a quello per cui è stato pensato l’attuale sistema-Difesa italiano. Tale condizione, dal 2015, non solo si è confermata, ma ha anche acuito i propri caratteri. In tre anni abbiamo assistito all’elezione di Donald Trump, alla Brexit, all’evoluzione del terrorismo internazionale, all’accelerazione del progetto di Difesa Europea, e al mutamente rapidissimo degli scenari operativi, con l’emersione sempre più determinata del cyber-spazio quale dominio di vera e propria guerra. Tutto questo rende ancora più urgente riprendere l’attuazione del Libro bianco, che già nel momento in cui fu presentato indicava scadenze stringenti, nell’ordine dei sei mesi. Come ha notato il consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali (Iai) Michele Nones su Airpress, già allora era chiaro che “senza una rapida adozione di provvedimenti correttivi alcune dinamiche in atto, si rischiavano di compromettere seriamente le nostre capacità di garantire la difesa e la sicurezza del Paese”. Questo è oggi ancora più vero.
I GRANDI OBIETTIVI
L’obiettivo, in parole povere, è riuscire a fare meglio con meno. In termini più specifici, si tratta di revisionare la governance della Difesa, rafforzare la dimensione interforze, ottimizzare l’efficienza operativa e aggiornare le capacità. Il primo grande elemento su cui puntare è la pianificazione, termine ricorrente all’interno del documento. Dalla “direzione politica” a una “politica industriale” vera e propria, che consenta all’industria di individuare i programmi su cui puntare. “La definizione allargata (frutto della collaborazione tra Difesa e industria, ndr) delle esigenze operative e dei conseguenti requisiti tecnici è un elemento fondamentale in una politica di sicurezza e difesa integrata”, si legge sul documento. Ciò appare ancora più importante nell’attuale momentum continentale. La difesa europea è ben avviata, e Francia e Germania si sono dimostrate volenterose a prenderne le redini. Nel Quadro finanziario pluriennale (Mff) 2021-2027 che la Commissione europea ha recentemente presentato, si prevedono 13 miliardi di euro per il Fondo europeo per la difesa (Edf), a cui vanno aggiunti i 6,5 miliardi per la mobilità militare (Connecting Europe Facility) e i 10,5 miliardi off-budget dell’European Peace Facility per le missioni esterne. Si tratta di risorse importanti che il Paese dovrà essere capace di indirizzare, per l’appunto facendo sistema, verso programmi che rispondano agli interessi nazionali.
UNA QUESTIONE DI EFFICIENZA
Poi, c’è l’esigenza dell’efficientamento delle risorse italiane, necessaria per poter migliorare capacità ed efficacia con un budget lontano dai livelli pre-crisi. Si tratta, ha spiegato Nones, “della consapevolezza che il vincolo finanziario richiede un modello di difesa sostenibile”. Così, ha aggiunto l’esperto, “la quota destinata al personale deve, quindi, essere riportata sotto controllo, scendendo dal 75% al 50% del Bilancio, attraverso la riduzione e la razionalizzazione dello strumento militare, il ridisegno della piramide gerarchica e l’integrazione interforze”. Inevitabili i tagli al personale dipendente che, secondo il disegno di legge delega presentato dal governo a febbraio dello scorso anno, dovrebbe passare dalle 190mila unità alle 150mila entro il 2024. “Non si potranno altrimenti trovare nuove risorse per l’addestramento e il funzionamento della macchina militare (puntando al 30%) e nemmeno per l’ammodernamento degli equipaggiamenti (puntando al 20%)”. Tutto questo considerando l’obiettivo, assunto in ambito Nato, di destinare alla difesa il 2% del Pil entro il 2024. Un incremento in tal senso è stato registrato, ma appare ancora troppo lento e, in ogni caso, dovrà essere accompagnato dalla riorganizzazione. Non si tratta di un obiettivo imposto, ma della possibilità di continuare a garantire la sicurezza nazionale in ogni ambito. “Un approccio coordinato e sinergico delle risorse a disposizione è il solo in grado di rispondere alla multidimensionalità dei moderni scenari di crisi d alle sempre più stringenti esigenze di economicità e di efficientamento nell’impiego delle risorse”, spiegava il capo di Stato maggiore della Difesa Claudio Graziano.
LA STORIA DEL DOCUMENTO
Presentato dal ministro Pinotti a luglio del 2015, il Libro bianco ha da sempre avuto, salvo rare eccezioni, il sostegno degli addetti ai lavori e del comparto di settore, anche perché da oltre un decennio mancava un documento strategico di tale tipo. Proprio la sua natura strategica ne ha però determinato il ritardo nell’attuazione, essendo necessari leggi, disposizioni e regolamenti per cui si prevedevano sin da subito tempi lunghi (non così lunghi come poi si sono rivelati). A determinare il ritardo di questi anni, sono state soprattutto le contingenze politiche interne, che hanno affievolito la volontà politica intorno alla sua attuazione. Temi come Jobs Act e riforma costituzionale hanno tenuto banco per mesi. A pagarne le conseguenze anche il Libro bianco per la difesa, che ha visto solo a febbraio del 2017 l’approvazione, da parte del governo Gentiloni, di un disegno di legge di delega. Presentato in Senato il 10 marzo e assegnato alla commissione Difesa, il ddl (in 11 articoli) ha visto conferire, a ottobre, il mandato al relatore (Nicola Latorre) di riferire favorevolmente in Assemblea, ma lì si è fermato. Ora, anche se rivista dal nuovo esecutivo, l’attuazione della riforma sembra necessaria, e su questo sono chiamati a lavorare il nascente governo e il nuovo Parlamento.