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Missioni internazionali, Nato, industria e Libro Bianco. Le sfide della Difesa spiegate da Camporini

difesa

“Serve un atteggiamento proattivo per i temi della sicurezza globale. Purtroppo stiamo assistendo alla formazione di un governo che vuole chiudere il Paese su se stesso e in tanti ne sono preoccupati”. Parola del generale Vincenzo Camporini, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai) e già capo di Stato maggiore della Difesa, a cui abbiamo chiesto quali saranno i dossier su cui dovrà dedicare maggiore attenzione il prossimo ministro della Difesa, a partire da un contratto di governo che pare tuttavia “piuttosto scarno”. In sintesi, la priorità, per chi prenderà il posto di Roberta Pinotti, deve essere l’attuazione del Libro bianco. Servirà poi non mollare la presa sulla difesa europea, poiché Francia e Germania sono pronte a prendersi tutto. Occhio inoltre alle missioni internazionali: un eventuale smantellamento sarebbe “un disastro politico e militare”. Comunque, mentre Di Maio e Salvini lavorano sulla compagine di governo, l’ipotesi che il ministero vada alla Lega, potrebbe essere rassicurante in termini di attenzione al comparto industriale.

Generale, qual è a suo avviso la priorità per chi prenderà il posto di Roberta Pinotti al dicastero Difesa?

La priorità è proseguire la riforma della Forze armate sulla linea del Libro bianco per la Difesa e la sicurezza internazionale, un documento che resta solido sia a livello concettuale, sia per la proposte che contiene. Ci sono sicuramente alcuni punti che si possono limare, come il rapporto tra il segretario generale e il capo di Stato maggiore della Difesa, ma credo che l’impianto di base della riforma sia assolutamente inattaccabile.

In tal senso, il riferimento a “razionalizzare lo spreco di risorse nelle spese militari” contenuto nel contratto di governo Lega-5Stelle può essere inteso come un elemento di continuità rispetto al Libro Bianco?

Direi di no. Anzi, credo che ci sia un totale fraintendimento della struttura e delle finalità delle spese militari. In Italia, spendiamo poco e spendiamo male. Poco, perché la percentuale su Pil della spesa per la Difesa (1,12%, ndr) è una delle più basse del mondo sviluppato, se non la più bassa. Male, per una serie di motivi, tra cui il fatto che la quota destinata agli stipendi è eccessiva rispetto a quella per l’esercizio, in particolare per le attività di manutenzione e addestramento. Ci troviamo in definitiva, in una situazione di lacrime e sangue. Così, sorprende vedere che il primo punto del programma Difesa riguardi il ricongiungimento familiare. Le esigenze del personale sono fondamentali, poiché è l’arma più importante. Tuttavia, è chiaro che la Difesa deve organizzarsi per avere piene capacità operative salvaguardando le esigenze del personale, e non viceversa.

In un semplice inciso, il contratto giallo-verde afferma: “Progettazione e costruzione navi, aeromobili e sistemistica high tech”. Come lo interpreta?

È difficile dare un’interpretazione completa a un testo così scarno. Il punto fondamentale da ricordare è che gli equipaggiamenti servono a rendere lo strumento militare idoneo all’impiego nelle varie circostanze operative in cui dovrà operare. Il tono che percorre tutto il paragrafo dedicato alla Difesa nel contratto di governo ci dice però il contrario. Ci dice che non c’è la volontà di sviluppare capacità operative impiegabili nell’attuale quadro geo-strategico globale. Dobbiamo fare queste cose perché ci servono o perché dobbiamo dare lavoro? Se la ragione è la seconda, siamo completamente fuori strada.

Restando sul contratto, il programma prevede di “rivalutare” la presenza internazionale nelle missioni internazionali. Cosa significa secondo lei e quali potrebbero essere le conseguenze di uno smantellamento dello sforzo militare oltre confine?

Occorre evidenziare prima di tutto che la partecipazione alle missioni internazionali è un asset fondamentale della politica estera. Tenuto conto di questo, tutto è rivedibile, e ogni riflessione sulla partecipazione alle missioni e sui benefici che la politica ne trae è benvenuta. Bisogna però vedere se questo viene fatto con uno spirito costruttivo o distruttivo. Nel primo caso, si procede col verificare dove vogliamo stare e l’incasso di dividendo politico che ne possiamo ricavare. Nell’altro caso, se l’intenzione è cancellare la postura esterna, sarà un disastro politico e militare. Vorrebbe dire che l’Italia scompare dalla mappa geopolitica internazionale e che si troverà da sola a difendere le proprie esigenze e ad affrontare i rischi dell’attuale quadro internazionale. Inoltre, il bilancio della Difesa per l’esercizio è già al minimo, ed è solo grazie alle risorse aggiuntive per le missioni internazionali che riusciamo a mantenere un minimo di efficienza.

Passando al dossier Esteri, il nuovo ministro presumibilmente attuerà un programma che prevede il mantenimento della Nato e dell’alleanza con gli Usa, ma anche un partnership con la Russia di Putin. È credibile una simile postura?

Ho passato gli ultimi tre giorni a Bratislava, dove si teneva GlobSec, una conferenza internazionale dedicata ai problemi della sicurezza che ha acquisito da un paio di anni un afflato globale. Ho potuto appurare che la posizione italiana appare assolutamente solitaria e che difficilmente ha la possibilità di essere sposata da altri. In altre parole, se questo approccio venisse perseguito, si creerebbe un problema politico di cui bisogna essere consapevoli, perché solo con la consapevolezza si possono affrontare i dibattiti che sicuramente ci saranno e in cui ci troveremo isolati. I comportamenti della Russia sul terreno del Donbass, così come l’occupazione della Crimea, ormai uno stato di fatto, sono inaccettabili per la stragrande maggioranza degli interlocutori internazionali e fanno venir meno qualunque ipotesi di partenariato con Mosca.

Mantenendo il punto di osservazione dei nostri alleati, quali sono le sensazioni sul governo Lega-5Stelle?

Come dicevo, ho potuto tastare il terreno a Bratislava. C’è molta preoccupazione e tante domande su cosa potrà accadere, domande alle quali ancora non sappiamo dare risposta. Molto dipenderà da chi sarà ministro della Difesa, e dal peso che avrà nella compagine governativa. Inoltre, occorrerà capire quale sarà il coinvolgimento sul tema da parte delle due formazioni politiche che lo sosterranno. Su diversi punti, hanno delle divergenze sostanziali, ad esempio sul sostegno alla capacità industriali, che piace alla Lega, ma meno ai 5 Stelle.

Pare che sia proprio il Carroccio a volersi aggiudicare il dicastero Difesa. Che segnale è?

Da parte della Lega vedo posizioni di politica industriale che non sento di condividere. Tuttavia, pare più sensibile rispetto al Movimento 5 Stelle per quelle che sono le esigenze occupazionali e industriali. Con un suo esponente a capo della Difesa, avrà presumibilmente un occhio un po’ più attento alle questioni che arrivano dall’industria e per una capacità tecnologica che non possiamo permetterci di perdere.

Come dissolvere tali preoccupazioni?

Serve un atteggiamento proattivo per i temi della sicurezza globale. Purtroppo stiamo assistendo alla formazione di un governo che vuole chiudere il Paese su se stesso e rimettere in discussione la partecipazione dell’Unione europea, quanto meno sui trattati. Tanti ne sono preoccupati.

In merito all’Ue, in molti si sono sorpresi per l’assenza completa del tema “Difesa europea” nel contratto di governo. Che consiglio si sente di dare al prossimo ministro su questo dossier in rapida evoluzione?

Il consiglio, per chiunque avrà questa responsabilità, è di non mollare la presa in maniera assoluta. Abbiamo, infatti, due esigenze. La prima è di avere delle capacità che siano credibili; e lo sono solo se vengono condivise con gli altri membri dell’Unione, in particolare con quelli più importanti, Francia e Germania. Poi, c’è l’aspetto delle condivisione dei programmi. Essere parte attiva del Fondo europeo per la difesa (Edf), ancorché limitato, è una garanzia affinché la nostra base tecnologica non venga erosa.

Intanto, uno dei battesimi di fuoco per il prossimo premier sarà il Summit Nato a Bruxelles a luglio. Dagli Stati Uniti, Trump ha da poco lanciato un nuovo invito a rispettare il 2% del Pil per la Difesa. Come ci presentiamo?

Le cose che si dicono in queste ore non sono tali da tranquillizzare gli alleati sul fatto che il Paese metterà a disposizione le risorse su cui si è impegnato. Sarebbe bene ricordare che l’obiettivo del 2% non è imposto. Ce lo siamo dati noi stessi; e se il governo ci rinuncerà, ci troveremo in una posizione difficile. L’unica fortuna che abbiamo è che in questo momento il destinatario principale delle richieste di Washington sia la Germania. Berlino appare infatti precaria sia da un punto di vista dell’efficienza della linea Eurofighter, sia per l’assoluta inefficienza della flotta di sommergibili, fattori che indicano la presenza di serissimi problemi organizzativi e finanziari che forse preoccupano di più rispetto all’Italia.

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