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L’Italia e la Russia dal punto di vista della Nato. Parla Paolo Alli

Agli occhi degli alleati della Nato, la garanzia del radicamento italiano nel solco euro-atlantico si chiama Sergio Mattarella. Parola di Paolo Alli, presidente dell’Assemblea parlamentare dell’Alleanza Atlantica, che nei giorni scorsi si è riunita a Varsavia, in Polonia, per fare il punto sui diversi dossier Nato in vista del Summit dei capi di Stato e di governo in programma, il prossimo luglio, a Bruxelles. Inevitabile l’attenzione alla situazione politica italiana, che sembra preoccupare gli alleati soprattutto per il forte shift verso la Russia predisposto da Lega e Movimento 5 Stelle nel contratto di governo, una posizione che resta isolata e che preoccupa nonostante il fallimento del tentativo di formare un esecutivo gialloverde.

Il documento finale dell’Assemblea parlamentare di ieri ribadisce il dual track nei confronti della Russia: rafforzare la difesa e la deterrenza, ma con una porta aperta per il dialogo. È una posizione condivisa da tutti?

Assolutamente sì, sebbene ci siano diverse sfumature. I Paesi del fianco est (Polonia, Paesi baltici e Romania su tutti) sono quelli che naturalmente conservano maggiori preoccupazioni. Altri Paesi pongono l’accento più sul dialogo con Mosca, ma tutti sono concordi sul fatto che, finché non si creeranno le condizioni, e dunque il rispetto degli accordi di Minsk, ciò sarà molto difficile. Il Consiglio Nato-Russia continua a riunirsi senza però significativi miglioramenti. Inoltre, rispetto all’aperturismo iniziale, l’amministrazione Trump si è piuttosto irrigidita nei confronti della Russia, in un modo relativamente inaspettato considerando che i repubblicani giudicavano già Obama come troppo cedevole rispetto a Putin. Così, il documento dell’Assemblea parlamentare ha ribadito a livello politico il dual track, sebbene la seconda parte (quella del dialogo) sarebbe stata volentieri cancellata da qualche membro dell’Alleanza. L’Italia in tal senso ha mantenuto una posizione equilibrata con emendamenti che sono stati accettati. Il vero problema sul tavolo resta piuttosto la possibile membership di Georgia e Ucraina, oltre al noto potenziamento della deterrenza con il ricorso ai battlegroup nei Paesi del fianco est.

Eppure, i due maggiori partiti italiani hanno mostrato nel proprio contratto di governo una posizione diversa, che prevede esplicitamente la partnership con la Russia. È una postura che qualche Paese condivide o resta isolata?

È una posizione che in altri Paesi è condivisa da minoranze, più o meno piccole, ma sempre minoranze. In tal senso, le frasi scritte in un contratto di governo che rappresenta più della metà degli italiani sono molto forti. Nessun altro Stato ha messo in agenda il tema dell’eliminazione delle sanzioni alla Russia, per quanto ciò sia stato dibattuto all’interno e sostenuto da componenti comunque risibili (come il Front National in Francia). Nei vari sondaggi dei diversi Paesi, raramente il ritiro delle sanzioni ottiene il favore di più del 10% della popolazione, pure in Paesi che hanno al loro interno minoranze russofone come le Repubbliche baltiche. In altre parole, nessuno pensa a eliminare le sanzioni. D’altronde, il dialogo con la Russia non sembra fattibile se non mostrando la forza che abbiamo. E questo perché Putin ha chiaramente mostrato di intendere solo tale tipo di linguaggio. Così, elevare il grado di deterrenza sul fianco est pare indispensabile per mettersi al tavolo con Mosca.

Immagino che in questi giorni siano stati in molti a chiederle della situazione politica italiana. Ci sono preoccupazioni da parte degli alleati?

Immagina bene. È stato l’argomento principale di molto colloqui, anche con il Presidente della Repubblica polacca e con i diversi gruppi parlamentari. Ho cercato di spiegare il mio punto di vista nel modo più obiettivo possibile, ma comunque da una prospettiva politica. D’altra parte, le dinamiche che stanno accadendo in Italia non sono sconosciute in Europa. L’abbiamo visto in Spagna, Francia, Ungheria, Germania e anche Regno Unito. Ciò che preoccupa sono le dimensioni del fenomeno in Italia: in nessun altro Paese i due maggiori partiti populisti e anti-europeisti si sono saldati stipulando un accordo di governo. Poi, c’è il timore del contagio, e cioè che il fenomeno italiano possa espandersi nel resto dell’Europa.

E dopo i fatti degli ultimissimi giorni, come è stato interpretato il ruolo di Mattarella?

Il Presidente Mattarella è molto stimato, considerato uomo di garanzia così come il presidente del consiglio Paolo Gentiloni. Il Capo dello Stato è visto come garanzia di radicamento nella tradizionale alleanza euro-atlantica.

Il membro della delegazione italiana all’AP della Nato, Franco Panizza, con riferimento all’Italia, ha notato un tentativo di destabilizzare l’Unione europea e la Nato “con antistorico e innaturale avvicinamento alla politica russa”. È d’accordo?

Direi di sì. È chiaro che influenze russe ci sono, e questo è indubitabile ed evidentissimo. Io stesso le ho subite, come ha già raccontato Formiche.net. D’altronde, il cambio di linea del Movimento 5 Stelle tra il 2013 e il 2015 sul tema non si spiega in altro modo. L’effetto delle propaganda russa e dei capitali di Mosca nel nostro Paese appare con evidenza, e le parole di Panizza esplicitano questi effetti. Pochi giorni fa, il segretario di Stato per gli Affari esteri del Regno Unito Boris Johnson è stato vittima delle stesse interferenze che ho subito io. Nonostante i russi tentino di farlo passare come uno scherzo, c’è ora il rischio concreto di creare un incidente diplomatico tra Londra e il Cremlino, a dimostrazione che un tentativo di destabilizzazione c’è.

A luglio ci sarà il Summit dei capi di Stato e di governo, mentre ancora prima, a giugno, la ministeriale Difesa. Come si presenterà l’Italia?

Bisognerà vedere chi ci rappresenterà a livello politico, ma in ogni caso credo che avremo una posizione molto interlocutoria, soprattutto nel caso in cui andrà a Bruxelles Carlo Cottarelli. In realtà, dubito che, anche qualora tornasse in ballo un governo Lega-5Stelle si potrebbero esprimere cose che sarebbero fuori dai confini tradizionali della nostra partecipazione all’Alleanza, e lo dico conoscendo persone che ritegno più riflessive in entrambi gli schieramenti. Difatti, la Nato è ormai sensibile anche su temi come immigrazione e fronte sud, e questo anche grazie alla nostra insistenza, che ha portato alla creazione di un Hub per il sud a Napoli e a importanti investimenti di collaborazione con diversi Paesi africani. Dunque, le posizioni che potrebbero essere espresse su questi temi, sarebbero già metabolizzate dell’Alleanza.

Quindi dovremmo ribadire le nostre priorità?

Certo. Tutto questo lavoro andrebbe ribadito, ma con un considerazione di fondo: in Italia pretendiamo che si riconoscano i nostri confini meridionali come confini della Nato, e poi facciamo fatica ad accettare le stesse richieste che arrivano dai Paesi del fianco est. Ciò non può funzionare, poiché non esprime reciprocità. Al Summit di luglio, parteciperò anche io come presidente dell’Assemblea parlamentare, e ciò significa che l’Italia potrà contare su un altro cappello di rappresentanza. Per me sarà un evento molto importante, una sorta di discorso della vita; e penso che lo stesso sarà per il nostro Paese e per l’Assemblea parlamentare, a cui la Nato mostra di attribuire grande rilevanza.

A Bruxelles si parlerà anche di burden sharing e del fatidico 2% del Pil da destinare alla difesa, tema caro a Trump. Ci sarà una nuova tirata di orecchie per l’Europa?

Nel corso dell’Assemblea parlamentare di Varsavia, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg è stato molto chiaro su questo punto, ribadendo l’importanza di rispettare gli impegni assunti. Certo, Trump, come tutti i capi di Stato e di governo, riconosce che dopo gli accordi del Galles del 2014 la situazione è cambiata e sta cambiando ancora più rapidamente, considerando che la finestra temporale arriva fino al 2024. Il primo obiettivo dichiarato quattro anni fa era un rapido stop alla riduzione degli investimenti nella difesa, e questo è avvenuto in tutti i Paesi che, con diverse velocità, hanno ripreso a crescere in termini di spesa per il settore. Oggi, cinque Paesi superano l’obiettivo del 2%, alcuni ci si avvicinano, mentre altri restano ancora lontani. Eppure, il dibattito in seno alla Nato si è evoluto sul tema, arrivando al concetto “C3”: cost, capability e contribution. Il 2% riguarda solo il primo aspetto. Il secondo si lega all’obiettivo del 20% delle spese per la difesa da dedicare agli equipaggiamenti, una quota che l’Italia già rispetta. Il terzo, infine, riguarda il contributo alla difesa collettiva, e in questo l’Italia è seconda solo agli Stati Uniti con quasi ottomila uomini in giro per il mondo nelle varie missioni internazionali.

Dopo oltre un anno e mezzo di presidenza, quella di ieri è stata la sua ultima Assemblea parlamentare della Nato?

Sì. La mia proroga scadrà il prossimo 23 settembre, sei mesi dopo la riunione delle nuova Camere, mentre la prossima Assemblea parlamentare si terrà a novembre. In realtà, il mio incarico potrebbe decadere anche prima, qualora Camera e Senato individuassero la nuova delegazione. Fino ad allora, sarò impegnato in molte missioni internazionali, come quella di oggi che mi vede in visita presidenziale in Islanda. A inizio giugno si terrà poi il primo seminario congiunto tra Assemblea parlamentare della Nato e Parlamento europeo, un’importante novità per consolidare i rapporti tra le due organizzazioni. Ieri, a Varsavia, abbiamo avuto per la prima volta una delegazione del Parlamento arabo (che si inserisce nell’ambito della Lega araba, ndr), rispondente alla volontà di allargare i rapporti dell’AP. Abbiamo inoltre creato un gruppo di lavoro sulla comunicazione, insieme a diverse altre iniziative che sono arrivate con la presidenza italiana.

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