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Phisikk du role – Incarico al prof pugliese da valutare senza pregiudizi

Dichiaro subito: per questioni etniche e di casta accademica, l’idea di un pugliese e per giunta ordinario di diritto alla guida del governo non mi dispiace. Al netto, si capisce, dell’opinione politica sui suoi danti causa e sulla curiosa procedura utilizzata per sceglierne il nome. Andando a memoria, pugliesi di nascita alla presidenza del Consiglio se ne rammentano solo due: Antonio Salandra (1853-1931), di Troia (Fg) e Aldo Moro (1916-1978) di Maglie (Le). Entrambi professori ordinari di diritto, amministrativo il primo e penale il secondo. Ma le somiglianze finiscono qua.

Perché il prof. Conte da Volturara (Fg), a differenza dei professori Salandra e Moro, non è espressione di un melieu politico cui aggiunge l’esperienza scientifica. Salandra, infatti, era un politico a tutto tondo, conservatore-giolittiano, almeno in partenza, formato e perfezionato alla scuola del diritto pubblico. Così come Moro, cresciuto nella scuola politica degli universitari cattolici, espressione della generazione dei “professorini” alla Costituente, quella che vide trentenni e quarantenni come, appunto, lo statista pugliese (30 anni), ma anche Dossetti (33 anni, ordinario di dir. Ecclesiastico), Fanfani (38 anni, ordinario di storia delle dottrine economiche), Giorgio La Pira (il più anziano, 42 anni, ordinario di Diritto Romano), segnare in modo indelebile i tratti salienti della nostra Costituzione. Ma, attenzione: si trattava di personalità in cui l’esperienza accademica completava quella politica che restava, comunque, preminente e ragione fondante della presenza sulla scena pubblica. Non foss’altro perché all’epoca il popolo votava con la preferenza scegliendo il proprio rappresentante. E questo costruiva un rapporto stabile e diretto tra corpo elettorale ed eletto.

Qual è, allora, la differenza tra il professor Conte e i professori-politici che abbiamo evocato? E che significa “politico a tutto tondo”? L’idea del “politico” richiama innanzitutto la capacità di rapportarsi con il corpo elettorale, unica e sola fonte di legittimazione del ruolo che si va a svolgere. Un “politico” deve avere l’occhio e l’orecchio allenati a cogliere gli umori profondi del popolo, saperli interpretare adeguatamente ed essere capaci di restituire programmi e azioni coerenti con i bisogni del territorio avendo cura degli interessi generali del paese. Deve saper parlare con la gente, ma non generandone ed assecondandone gli istinti più elementari, come si fa con il marketing pubblicitario, bensì tracciando gli orizzonti di tempo medio e lungo, traguardi che la sua stessa personale autorevolezza, la sua stessa biografia renderà credibili. Un politico avrà nel canone della mediazione la sua stella polare, non perché non abbia una visione ed un convincimento, ma proprio perché quella visione e quel convincimento ce li ha e deve condurre la maggioranza a condividerli. Un politico a tutto tondo attinge all’esperienza, all’accumulo di casistiche, a situazioni complesse che si sono verificate ed hanno già trovato risposte plausibili. Un politico a tutto tondo deve attingere alla Costituzione e recitare come un mantra ogni sera prima di addormentarsi l’art. 54 secondo comma, che obbliga chi rivesta una funzione pubblica ad esercitarla con “disciplina ed onore” dove disciplina, che viene dal latino “discere” vuol dire imparare, dunque avere “competenza”. E questo vale per tutti, professori e no.

Il prof. Conte, allora, che “politico” sarà? Sappiamo che è uno dei 12.156 professori ordinari dell’Università italiana, e questo è già importante, in una stagione politica che non ha fatto della cultura il suo vessillo. Sappiamo che è di origine pugliese, e questo non dispiace, perché in un governo avvolto dalla bandiera di Alberto da Giussano e in un “contratto” di programma che ha dimenticato il mezzogiorno forse può segnare un recupero per metà del paese.

Non conosciamo, però, la sua “caratura” politica. Guardiamo per il momento ai suoi titoli. E senza pregiudizio al resto.

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