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Populisti di tutto il mondo unitevi (contro il partito di Davos). La versione di Bannon

Di Emanuele Rossi e Francesco Bechis

È un fiume in piena, Steve Bannon. Acqua avvelenata contro i centri di potere italiani collusi con il sistema e colpevoli di aver affossato i progetti di un governo sovranista e populista che per lui sembrava il raggiungimento di parte dei suoi obiettivi extra-territoriali. Il globalismo dei nazionalisti, un ossimoro, una teorizzazione interessante uscita dallo stratega: i movimenti nazionalisti populisti stanno spingendo una sorta di internazionale. È il passaggio più catchy dell’intervento romano di quello che i media definiscono “a dangerous man”, appellativo su cui scherza, divertito. “Oggi è il giorno più importante della storia italiana dalla Seconda Guerra Mondiale, perché finalmente gli italiani si sono alzati in piedi” esordisce, spiazzando un po’ il pubblico.

LO SHOW

Bannon è uno showman, non dice niente di nuovo per chi lo conosce; l’impatto, le sensazioni che provoca quel fisico possente, l’immagine insomma, sono l’argomento oltre i pensieri: parla dal palco del Roma Eventi, centro congressi a un passo da piazza di Spagna (pieno establishment capitolino) e sembra che stia tenendo un TED. Con tempi teatrali: fa domande al pubblico, respira, pause in cui sembra che conti i secondi; poca pancia molto cervello. In piedi, microfono in mano, entra da un sipario rosso (scenario da avanspettacolo, ma niente pernacchie: in molti non lo condividono tra la platea, si sentono i commenti sottovoce strisciare tra gli osservatori, qualche sorriso e qualche occhiata, ma quasi tutti ascoltano quel che sta dicendo, piaccia o meno).

Qualcuno lo accusa di usare un linguaggio insulting, in inglese, d’impeto dal pubblico: lui risponde che l’insulto è il sopruso contro il popolo italiano fatto ieri sera dal “party of Davos”. È la parola chiave dell’intero intervento: il partito di Davos, il summit finanziario svizzero più famoso del mondo, culla di ogni male, dice Bannon: lì le “potenze straniere, i capitali stranieri, i media stranieri” pianificano le ingerenze sugli affari interni dei vari Stati, come l’Italia, dove due partiti (i populisti di destra e di sinistra, così li ha chiamati) hanno avuto il coraggio di mettersi insieme e fare un accordo di 56 pagine su cui basare il governo.

LE STOCCATE AL QUIRINALE

Lo stratega del trumpismo, teorizzatore e fucina delle visioni che hanno portato alla vittoria il presidente americano, ancora prima che scendesse sulla scena politica Donald Trump, in realtà non è nemmeno troppo duro. O almeno, potrebbe essere peggio: notiamo, per esempio, che non usa mai riferimenti a un colpo di Stato, un’immagine cui — avesse voluto spingere di più — avrebbe potuto ricorrere per descrivere la mossa di Mattarella.

Ma il giudizio resta severo, a tratti spietato: “It’s disgusting”, così Bannon boccia la mossa del Colle. Poco importa che la scelta di Mattarella sia una prerogativa costituzionale: Bannon ci spiega che è stato uno schiaffo dell’establishment al popolo: “Non possiamo parlare di deep state, questo è proprio sulla vostra faccia, non è neanche così profondo, ciò che fanno è tutto in superficie”. “Spread? Mi prendete in giro?” continua guadagnando le risatine della platea, “sono solo scuse del regime”. E ai “tecnocrati”, così li chiama lui, che gridano all’irresponsabilità di Lega e Cinque Stelle dopo che un braccio di ferro si è trasformato in un incontro di boxe, Bannon risponde infastidito: “Sarebbero loro, i partiti che hanno vinto le elezioni, gli irresponsabili? L’unica cosa irresponsabile è impedire agli italiani di governare da soli”.

GLI APPLAUSI AI POPULISTI ITALIANI

Gli brillano quasi gli occhi quando vola con il pensiero ai suoi amici italiani, gialli o verdi che siano. L’impressione è che Bannon abbia proprio una predilezione per lo Stivale, e stia facendo un pensierino a passarci più tempo, lontano dalle telecamere della stampa a stelle e strisce. “Tornerò in Italia alle prossime elezioni? Ovviamente” promette a una giornalista. C’è una legacy europea da curare. Dopotutto è stato lui a dare il la, ben prima che Trump divenisse presidente, alla nuova ondata di populismo (termine che lui adora) in Occidente. Sul palco è un profluvio di complimenti a Lega e Cinque Stelle, per come hanno gestito la fase post-elettorale, per aver tenuto la barra dritta, a costo di sfidare a fioretto la più alta carica dello Stato. “Sono molto impressionato da Salvini e Di Maio” dice il fondatore di Breitbart News. “Hanno fatto un passo indietro, hanno trovato un compromesso e proposto un nome terzo come premier, scelto un ministro delle Finanze capace, competente”. Giù il cappello anche per Silvio Berlusconi: “Ha avuto il coraggio di fare un passo a lato e permettere loro di formare un governo, dovremmo congratularci con lui”. C’è persino un pizzico di invidia per l’esperimento (quasi) riuscito di una coalizione gialloverde. “Populisti di sinistra e populisti di destra insieme”, è il sogno di Steve Bannon. Dopotutto, confessa ai presenti, ci avrebbe provato anche lui con Bernie Sanders, il senatore del Vermont che ha dato filo da torcere a Hillary Clinton e, chissà, potrebbe tornare a sfidare il Tycoon. “Magari un giorno ci riusciremo” sospira Bannon. Per adesso, occhi e speranze dello stratega più famoso d’America sono rivolti, ancora una volta, alle urne italiane. L’ondata populista è solo rimandata.

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