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Perché il prezzo del petrolio sta decollando

petrolio

Non accadeva dalla fine del 2014, ma ora barile di petrolio è a circa 70 dollari e il prezzo continua a salire. Il barile Brent, riferimento per l’Europa, è aumento dello 0,98% fino ad arrivare a 75,60 dollari il barile, mentre il West Texas, riferimento per il mercato americano, è aumentato dell’1,05% ed è a 70,45 dollari il barile.

L’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (Opec) potrebbe dirsi soddisfatta della strategia di pressione imposta con la riduzione della produzione del greggio per spingere in salita il prezzo. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) ha dichiarato la scorsa settimana che l’Opec potrebbe annunciare di avere “compiuto la missione”, ma molti analisti sostengono che non sarà così. Negli ultimi 18 mesi i mercati hanno esaurito la scorta accumulata nel periodo di sovrabbondanza tra il 2014 e il 2016. E la domanda del mercato è di circa cinque milioni di barili al giorno, 5% in più rispetto a tre anni. Si spera che il consumo mondiale superi per la prima volta i 100 milioni di barili al giorno, per cui non è il momento di rallentare la pressione.

SCENARI DI RISCHIO GEOPOLITICO

Il fenomeno dell’aumento del prezzo del petrolio non è un fenomeno prodotto soltanto dall’Opec. In un articolo pubblicato sul sito Oilprice.com a firma di Tsvetana Paraskova sono stati individuati principali scenari di rischio geopolitico che incidono sul prezzo del greggio. “Nelle ultime settimane una tormenta perfetta ha quasi cancellato l’eccesso di petrolio nel mondo – si legge nell’articolo -. Le tensioni in Medio Oriente e la perdita di produzione in Venezuela hanno fatto salire il prezzo del petrolio ad un livello visto l’ultima volta a novembre del 2014. Nelle prossime settimane e mesi i rischi geopolitici potrebbero spingere ancora di più i prezzi del petrolio. La produzione sarebbe compromessa in Medio Oriente, Nord Africa e Venezuela”.

LA SCELTA DI TRUMP SULL’IRAN

Tra le ondate di tensioni internazionali c’è l’attesa per la decisione del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di congelare gli accordi con l’Iran. La scelta potrebbe addirittura bloccare l’esportazione di greggi, con ovvie ripercussioni sul prezzo.

Per Greg McKenna, analista economico della AxiTrader, “la notizia più importante di questa settimana riguarda il futuro dell’accordo nucleare con l’Iran. Gran parte del mercato aspetta che Trump si ritiri dall’accordo”. Dal 2016, l’Iran è tornato ad essere uno dei principali fornitori di petrolio, dopo la fine delle sanzioni internazionali.

È il terzo produttore dell’Opec con circa 3,8 milioni di barili al giorno e tra i principali clienti ci sono Cina, India e Corea del Sud. Secondo alcune previsioni, in caso di nuove sanzioni contro l’Iran il prezzo del petrolio potrebbe salire fino a 10 dollari il barile.

IL CROLLO ECONOMICO DEL VENEZUELA

Sul Venezuela, Shannon Rivkin, direttore di Rivkin Securities, ha spiegato in un’intervista alla Cnbc, che “i prezzi del petrolio stanno salendo per le probabili nuove sanzioni contro l’Iran da parte dell’amministrazione Trump e il crollo dell’economia venezuelana”.

Dal 2000, la produzione petrolifera in Venezuela si è ridotta alla metà ed è arrivata a circa 1,5 milioni di barili al giorno (nel 1998 era di 3,4 milioni di barili al giorno). Il motivo: lo scarso investimento del Paese nell’industria energetica, il ritiro dal territorio venezuelano di multinazionali del settore, l’esodo di lavoratori dell’industria petrolifera e l’assenza di manutenzione.

C’è anche il rischio che l’amministrazione americana imponga nuove sanzioni contro il governo del Presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, dopo le elezioni previste il 20 maggio. Questa volta l’oggetto delle sanzioni non saranno i conti correnti dei funzionari del governo venezuelano ma l’esportazione del petrolio.

L’IMPORTANZA DELLO YEMEN

In un report pubblicato da S&P Global Platts sono segnalate altre zone di conflitto che potrebbero provocare l’interruzione del rifornimento di petrolio. La mappa segnala la guerra di potere tra l’Iran e l’Arabia Saudita in Yemen. I ribelli houthi hanno aumentato gli attacchi contro le infrastrutture petrolifere saudite di Aramco in mare. Sebbene non è un importante produttore di petrolio, lo Yemen ha una posizione geografica strategica: si trova in uno dei principali snodi petroliferi del mondo, il Mar Rosso. Da lì passano milioni di barili al giorno verso l’Europa. Lo Stretto di Bab el-Mandeb è anche uno dei principali punti chiavi della Penisola Arabica, tra Yemen, Djibouti ed Eritrea. Collega il Golfo dell’Aden al Mare Arabic e, secondo l’Iea, ha un flusso di circa 4,8 milioni di barili verso l’Europa, Stati Uniti e Asia.

IL BLOCCO DELLO STRETTO DI ORMUZ

L’Iran ha minacciato di bloccare lo Stretto di Ormuz e, anche se la presenza navale degli Stati Uniti rende difficile la misura, le nuove tensioni tra Teheran e Washington aumentano i rischi. Da quello stretto che divide la Penisola arabica dalle coste dell’Iran, comunicando il Golfo di Oman e il Golfo Persico, passano circa 18,5 milioni di barili di petrolio. È lo sbocco di esportatori come l’Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Potrebbero farne a meno dello Stretto di Ormuz (ma non per tutta la produzione petrolifera) soltanto l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che contano su alcuni oleodotti per l’invio di circa il 30% del greggi che producono.

ELEZIONI IN IRAQ E CONFLITTI IN LIBIA

Infine, ci sono le elezioni legislative del 12 maggio in Iraq, che potrebbero compromettere i contratti petroliferi, le discussioni sul recupero delle zone liberate dallo Stato Islamico e le questioni non risolte sulla regione curda e l’esportazione di petrolio dal nord del Paese fino alla costa mediterranea della Turchia.

La Libia resta il principale produttore dell’Africa del nord con circa un milione di barili al giorno. Restano però i rischi provocati dalle lotte interne per il controllo delle zone petrolifere, con attacchi alle installazioni di produzione ed esportazione.

LA STRATEGIA DELL’ARABIA SAUDITA

In mezzo a questo quadro geopolitico c’è anche l’interesse della monarchia saudita di spingere il prezzo del petrolio fino a 80 dollari il barile. Secondo Bloomberg, l’Arabia Saudita vuole raggiungere questo prezzo per sostenere la quotazione della petrolifera statale saudita Aramco prima dell’Operazione Pubblica di Vendita (Opv).

Non è mai stato confermato il tetto da raggiungere, ma il principe erede Mohammed bin Salman disse in un’intervista concessa alla rivista Time di essere convinto che “i prezzi del petrolio aumenteranno molto nel 2018 così come nel 2019, per cui stiamo valutando il momento opportuno per l’Opv di Aramco. Avevamo pensato al 2018 ma ora sta prendendo forza l’ipotesi dell’anno prossimo”. Con il mondo sommerso da tensioni geopolitiche, per i sauditi vale la pena attendere.



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