Ci vuole libertà di pensiero. È necessario rompere, infatti, il circolo vizioso tra l’intellettuale e il “principe”, chiunque egli sia. Perché l’intellettuale deve avere come unico riferimento la realtà, quella “carne e sangue” per troppo tempo trascurata e considerata come “scarico” di strategie immaginate nei palazzi di un potere auto-referenziale e, per questo, malato; potere che, a ben guardare, cambia velocemente e radicalmente nei soggetti detentori, nei luoghi in cui si forma e si diffonde e nei linguaggi attraverso i quali si esprime.
In tale contesto, questa riflessione sul progetto di civiltà, avvio di un processo di ricerca, intende ri-congiungere tre esigenze non più considerabili separatamente:
- il ritorno nel senso profondo della realtà;
- la conoscenza dei processi storici;
- la maturazione di visioni e di scenari complessi che aiutino la decisione strategica.
Si tratta di tre esigenze che debbono co-evolvere nella considerazione che non esistono “universali culturali” perché la realtà globale è interrelazione di realtà contestuali, ciascuna portatrice di esperienze originali e non ripetibili. In tal senso, la globalità è un processo perennemente “emergente” perché ci mette continuamente di fronte a ciò che ancora non conosciamo ma che già ci appartiene.
Il progetto di civiltà è un cammino nell’oltre; è – potremmo dire – l’acquisizione continua di elementi (mai nuovi) di realtà che problematizzano quelli conosciuti che chiamiamo certezze.
Nel dinamismo della realtà-che-evolve, allora, non possiamo più dire di aver capito tutto, di poter controllare tutto, di poter definire e classificare ogni esperienza umana come bene o come male e di porla a esempio in positivo o in negativo. Dobbiamo cambiare strada e cominciare a percorrere i sentieri dell’incertezza, ben sapendo che questa si accompagna a una ineluttabile imprevedibilità, che è la nostra di esseri umani.