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Rovesciare l’assunto culturale dell’ “utilità”

Cosa vedono i nostri occhi ?  Noi fotografiamo, raramente osserviamo, ancora più raramente com-prendiamo in noi. Dalle parole che usiamo si può dedurre che il nostro sguardo è limitato e limitante, a volte distorcente la realtà per interpretarla “secondo noi” e per pre-giudicarla (giudicarla senza conoscenza).  Applichiamo i modelli che abbiamo in testa per svuotare l’esperienza del reale (incarnata in ciascuno di noi) delle sue complessità, anche contraddittorie, e per tentare una omologazione che ci permetta di controllare e dominare ogni cosa. Abbiamo bisogno di un nemico e, se non lo abbiamo, lo creiamo; questo avviene, in primo luogo, laddove neghiamo la differenza ed esaltiamo la diversità.

Il diverso è il negativo a ogni costo. Il diverso ci deve insospettire, far paura e deve “servire” a  giustificare il nostro bisogno del nemico oggettivamente inteso; quando smarriamo la bussola progettuale, quella qui evocata sotto forma di progetto di civiltà, non ci resta che escludere l’altro-diverso, ragione di ogni nostro disagio e causa di ogni nostra disgrazia. Il destino del diverso è segnato; i nostri occhi lo vedono come minaccia e, pressoché inevitabilmente, chiamano alla costruzione di muri culturali o fisici e invocano il bisogno di sicurezza come condizione di libertà. Il diverso alimenta il negativo in chi non siamo, al contempo rafforzando il nostro senso di identità, dogmatizzandolo. La “non cultura” del diverso, in realtà una strategia sempre più chiara, pone al centro della scena i pensieri di chi pensa di avere la Verità, di incarnare il Bene, di interpretare la Storia senza se e senza ma.

Guardare all’altro come differente, invece, non “serve”. Anche il differente non è noi ma il nostro sguardo cambia; l’altro DA noi (il diverso) si trasforma in altro-DI-noi, parte di noi che ancora non conosciamo. E’ su questo che si gioca tutto, che il negativo – nel differente – viene trasformato progettualmente per costruire civiltà.

In questa riflessione intendo rovesciare l’assunto culturale dell’ “utilità”. Senza immaginare un mondo perfetto,  l’utile porta in sé degli esseri da usare, delle vite disponibili, un ambiente da sfruttare. È come se ogni parte fosse strumento del Tutto e non parte-del-tutto. È come se la realtà-mosaico si trasformasse in Realtà Sommatoria, come se il dialogo fosse semplicisticamente somma di monologhi e non profondissima relazione di senso vitale (progettuale) con-diviso.

 

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