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Lo zar si insedia. Attenzione però alla sbornia dopo l’ubriacatura

Di Andrey Pertsev
Stefanini, Russia, sanzioni putin

Le autorità russe descrivono i risultati delle elezioni come memorabili e senza precedenti, così sono stati dipinti sia i numeri dell’affuenza alle urne sia il risultato personale di Putin. Il 76% di voti incassato dal presidente uscente è un vero e proprio record, almeno stando ai dati della Commissione elettorale russa, secondo i quali 56 milioni di elettori hanno scelto di riconfermare l’ex agente del Kgb alla presidenza della Federazione Russa. Per quanto riguarda l’affluenza alle urne, invece, la lettura dei dati è più complessa. La partecipazione al voto, pari al 67,4% è stata infatti più alta rispetto al 2012, quando si era fermata al 65,4%, ma è tuttavia inferiore a quella del 2008. Per il presidente, a conti fatti, ha votato poco più della maggioranza degli aventi diritto. Sin dall’inizio dello scorso anno Putin e i suoi avevano dichiarato in lungo e in largo l’obiettivo del 70% di voti e del 70% di affluenza alle urne. Solo in questa eventualità, infatti, il presidente avrebbe ottenuto il supporto di più della metà della popolazione del Paese: alle elezioni per la Duma tenutesi nel 2016, il partitoal potere – Russia Unita – aveva raccolto il 54,2% dei voti, ma l’affluenza era stata pari a solo il 60,1%. Quindi, meno di un russo su tre aveva scelto il partito di Putin, un evento che aveva disturbato non poco il presidente.

Nel 2018 il risultato politico auspicato è stato raggiunto, ma occorre ammettere che la competizione è stata poco più che un fatto formale. Nessuno degli altri contendenti è mai stato un rivale temibile per la presidenza e neanche ha mai dato l’impressione di credere di poter vincere. La mobilitazione del personale amministrativo ha funzionato perfettamente, gli impiegati di istituzioni e aziende pubbliche sono stati costretti ad andare alle urne e a votare. Ciononostante, i rappresentati del partito al potere continuano a parlare di risultati clamorosi, che conferiscono a Putin un nuovo status e un mandato per esercitare un politica, sia estera sia interna, molto forte. Molti dei voti a Putin si spiegano come un supporto alla sua retorica contro il mondo occidentale e con la promessa di politiche aggressive. La percentuale incassata da Putin è stata ottenuta soprattutto grazie alle forti pressioni prodotte sul settore pubblico e agli sforzi fatti per eliminare qualsiasi competitor con reali possibilità di vittoria.

Il nuovo mandato toccherà il corso della politica estera russa. Il Cremlino ritiene che le potenze estere avranno ora più rispetto della Russia, alla luce del supporto per Putin che si è manifestato alle elezioni. Il gergo militarista usato a più riprese dal presidente alla vigilia delle elezioni sembra che ora sia stato approvato pubblicamente. Il Cremlino intende giocarsi il risultato delle urne come una carta vincente da usare nel dialogo con le potenze occidentali. Il messaggio di base è: il popolo russo appoggia le politiche di Putin e non abbandonerà il suo presidente, che ne rappresenta volontà e desideri. Ovviamente, i Paesi occidentali la vedono molto diversamente, i russi sono influenzati dalla propaganda ufficiale che critica Europa e Usa. La loro opinione, che formalmente appoggia il potere, è forgiata dal potere stesso. Anche dentro la sfera politica, economica e sociale russa il Cremlino ora si ritiene libero di agire senza restrizioni. Putin si è presentato alle elezioni senza programma, non ha fatto promesse e non ha presentato dei piani per il prossimo mandato. Sarebbe ingenuo ovviamente aspettarsi delle liberalizzazioni, sia in politica sia in economia.

Probabilmente verranno implementate delle riforme sociali impopolari, l’aumento di alcune tasse e l’età di pensionamento, facendo leva proprio sulla popolarità di cui gode Putin. Diversi rumors vogliono il presidente desideroso di implementare una riforma costituzionale che gli consenta di essere ricandidabile nel 2024. In alternativa, potrebbe optare per una riforma tesa a diminuire i poteri del presidente e che aumenti quelli del Primo ministro, per poi correre nel 2024 per questa seconda carica, come fece già nel 2008. Forse il Cremlino tornerà alla realtà e l’euforia per il 76% di Putin scomparirà.

Altrimenti, le autorità russe potrebbero imbattersi in sorprese inaspettate. Così come accaduto in passato, le percentuali dell’elezione infatti difficilmente costituiranno un argomento valido nel dialogo con l’occidente. Quindi, un eventuale inasprimento della retorica si tradurrà solo in maggiore isolamento. Le misure sociali potrebbero attrarre serie proteste. Per esempio, nel 2005, dopo le elezioni del 2004, nelle quali Putin prese il 71%, i russi si espressero contro l’abolizione di certi privilegi, prendendo d’assalto gli uffici amministrativi e bloccando le strade. L’esperienza degli scorsi anni prova che i cittadini sono pronti a ritorcersi contro lo stesso potere che hanno votato alle precedenti elezioni. Il problema principale per il Cremlino consisterà nel tornare alla realtà dopo la sbornia causata da un’interpretazione inadeguata del risultato elettorale.

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