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Sistemi chiusi e sistemi aperti

Nel momento in cui pre-giudichiamo il diverso, alzando barriere di paura o anche solo di fastidio, priviamo l’altro-DA-noi della possibilità di vivere la propria dignità e di  poter tendere alla propria “giustizia”.

Se guardiamo ai fenomeni migratori (senza voler qui entrare nei meccanismi del governo dell’immigrazione), infatti, possiamo osservare le difficoltà di ri-conoscere colui che chiamiamo immigrato, in qualche modo “marchiandolo”, come parte-del-tutto-umano, della vita globale, del destino planetario. Questo accade perché abbiamo poca consapevolezza di cosa significhi vivere il destino planetario; ciò com-porta il ri-pensare la realtà come un unicum complesso, profondamente articolato, naturalmente contraddittorio. Nei fatti noi pensiamo il destino planetario come l’estensione del nostro provincialismo, delle nostre identità nazionali; ancora distinguiamo (addirittura separiamo) territori e mondo, negando che i sistemi aperti siano i luoghi dell’essenza globale.

Localismo, provincialismo, sovranismo sono tutti termini che chiamano a un “non senso di chiusura” nella globalità. Teorizzare sistemi chiusi è collocarsi fuori dalla natura stessa del globale e, dunque, dell’umano. Nei sistemi chiusi convivono gli uguali e si rifiutano i diversi; nei sistemi aperti, invece, con-vivono le differenze.

I sistemi aperti sono in metamoforsi nel senso che, per fecondarsi (cioè per essere fecondi, vitali), devono contaminarsi  nell’essere percorsi dalle differenze; la metamorfosi nei sistemi aperti è la vita che si fa sistema. In questo, il giudizio storico non può che essere dinamico e permanente.

L’idea dei sistemi chiusi, soprattutto in questa fase della globalizzazione, è anti-storica. Ed è una idea che si giustifica unicamente nell’esercizio del pre-giudizio, in una staticità perenne  che non accetta il cambiamento, che nega la metamorfosi della vita-che-evolve e che si lascia avvolgere e imprigionare nella cultura della paura e nella ricerca ossessiva di un nemico oggettivo (il presunto “invasore”).



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