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Le luci e le ombre dello smart working

Di Nora Garofalo
smart working

È in corso in questi giorni a Milano e in Veneto la Settimana del Lavoro Agile, con eventi importanti dedicati interamente allo smart working, una misura regolata dalla legge 81 del 2017. La modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, con la possibilità del cosiddetto telelavoro, ha sicuramente il merito di agevolare la conciliazione dei tempi casa-lavoro e di consentire al lavoratore un risparmio di tempo sugli spostamenti tra la propria abitazione e il luogo di lavoro, con innegabili vantaggi anche economici e psico-fisici. Fin qui i vantaggi, riconosciuti e significativi. E non mancano le buone pratiche, come la sperimentazione messa in campo da tre importanti aziende del territorio bellunese anche con il contributo della Femca: Marcolin Spa, Unifarco Spa e Cooperativa Cadore.

Ma come avviene spesso, bisogna considerare il rovescio della medaglia. Innanzitutto, la “reperibilità” del lavoratore: per evitare il fenomeno del cosiddetto “always on”, è necessario definire delle fasce orarie di disconnessione, un diritto sacrosanto che è inalienabile per il lavoratore. Bisogna poi evitare che il “lavoro agile” diventi solo un pretesto, per l’azienda, per risparmiare sui costi (si pensi ai benefici per la gestione delle sedi, con tutte le voci relative a spese energetiche, riscaldamento, pulizia, mense aziendali, affitto, ecc.). Insomma, il rischio è che l’alibi dell’adeguamento ai modelli di organizzazione nasconda una semplice volontà di risparmiare, imponendo la scelta dello smart working ai propri dipendenti. Episodi del genere sono già accaduti in diverse realtà dei nostri settori (energia, chimica, moda).

Un altro elemento sottovalutato è la protezione in materia di salute e sicurezza, ad esempio con la scelta e l’utilizzo del videoterminale, le pause da rispettare, il diritto alla disconnessione. Infine, ma non da ultimo, lo “svuotamento” del luogo di lavoro mette fine all’azienda considerata come luogo di aggregazione sociale, di scambio, di confronto, di crescita professionale ed umana. Siamo davvero sicuri che si voglia arrivare a tanto? E quindi ben vengano la tecnologia e le scelte caratterizzate da innovazione e modernità, ma attenzione a non fare pericolosi ed irreversibili passi indietro sul fronte della tutela e della dignità dei lavoratori.

Lo smart working resta un formidabile ed insostituibile strumento di conciliazione, ma bisogna evitare che l’utilizzo dello strumento sia distorto, improprio. La soluzione? Far passare ogni tipo di decisione dalla volontà del lavoratore, senza imposizioni, e avendo come riferimento esclusivamente le sue esigenze, la sua situazione personale e familiare. Inoltre, è indispensabile affidare alla contrattazione (nazionale, aziendale, territoriale) la gestione di questo tema delicato e complesso. Solo assegnando alle organizzazioni sindacali un ruolo da protagonisti si farà in modo che il lavoro agile sia una conquista per il lavoratore e non una pericolosa e dannosa rinuncia ai propri diritti.

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