Il mondo attuale assomiglia a un’arena nella quale le reciproche certezze dogmatizzate si esaltano e si scontrano. Dove stiamo andando ? La mia impressione è che stiamo tracciando, senza guardare alle conseguenze, il solco della “erosione del comune”, che diventa la sua “negazione”. A forza di erodere e di negare l’oltre-di-noi, in nome e attraverso l’assolutizzazione di un sé che non si fa noi, erodiamo e neghiamo l’dea stessa di “società”, smarrendo le profonde ragioni comunitarie che ne fondano la coesione. Le nostre società diventano “sommatorie” di individualità, magari molto evolute: siamo ancora capaci di “donarci relazione”, cioè di agire attraverso la rel-azione ? Nella realtà, a ben guardare, noi ci sommiamo come individualità fragili, svuotate di senso e riempite di “utilità necessaria”, di auto-referenzialità, di obiettivi. Rischiamo di diventare, progressivamente, “umani non umani”; rischiamo di essere soltanto utili, dunque strumentalizzabili. E tale condizione è dovuta principalmente alla nostra scelta di renderci utili in senso assoluto e, dunque, di “dover fare” a meno degli altri; infatti, non possiamo condividere la nostra utilità ma solo realizzarla in chiave auto-referenziale.
L’utilità per l’utilità cancella la rel-azione, cercando di rendere razionale il “mistero” della rel-azione stessa. Il senso umano, se è com-prensibile in noi come “profondità della storia”, non è comprensibile in senso assoluto. Non possiamo continuare a ridurre la realtà alle nostre “convinzioni superficiali” perché la complessità che vi scorre dentro non sopporta la nostra “ragione razionalizzante”. Nella realtà, infatti, “vive” chi rende flessibile la ragione e attiva la volontà; vivere è ri-appropriarsi della realtà-nella-realtà. Il mondo di oggi, con tutta evidenza, soffre le contraddizioni della realtà in termini di disagio diffuso e cerca risposte; altresì, noi individui esistiamo nella de-appropriazione della realtà-in-noi, come se fossimo “chiamati” a pre-giudicare ciò che accade in nome di una presunta superiorità etnica, culturale, religiosa. Pre-giudichiamo quando non conosciamo e l’esercizio è primitivo. Il che non significa che non sia naturale avere paura del nuovo o del diverso come potremmo averla del buio ma che, spingendo innaturalmente su questa paura, separiamo razionalmente ciò che non è separabile in essenza. Nei fatti, così facendo, tradiamo la realtà.
Questo tradimento è un mestiere pericoloso che provoca de-generazione sistemica e lascia la realtà in balìa di istinti primordiali e pericolosi. Il paradosso dell’eccessiva razionalità, sotto forma di modellini e di algoritmi utili, è nel ritorno dell’istintualità e del male banale.