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Perché l’Ue sta sbagliando tutto sul Medio Oriente (mentre la Lega fa bene a seguire Trump). Parla Gregg Roman

Di Rebecca Mieli
gregg roman

“Nel caso della questione palestinese l’Ue si sta comportando in maniera irresponsabile, finanziando massicciamente la costruzione e il supporto logistico dei palestinesi nell’area C della Cisgiordania”, mentre in Italia “il leader della Lega si è espresso a favore dello spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme”. La critica giunge in una conversazione con Formiche.net da Gregg Roman, uno degli 800 invitati che hanno preso parte alla ristretta e blindata cerimonia dello spostamento della rappresentanza diplomatica di Washington. Direttore del centro di ricerca americano Middle East Forum, Roman ha lavorato come consigliere politico presso i ministeri degli Esteri e della Difesa israeliani e, dal 2016, ha coinvolto diversi membri del Congresso Usa nell’Israel Victory Project, un programma per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese attraverso il sostegno del governo statunitense. Il progetto ha ispirato e influito su numerosi membri dell’amministrazione Trump, orientandone le politiche sulla questione del medio oriente e sulla necessità di cambiare il corso del processo di pace.

Roman, che tipo di cerimonia è stata quella dell’inaugurazione della nuova ambasciata Usa?

È stato un evento rispettoso, dove è emersa una retorica diplomatica priva di una politicizzazione che sarebbe risultata offensiva. A settant’anni dalla nascita dello stato di Israele gli Stati Uniti non avevano mai avuto una rappresentanza diplomatica a Gerusalemme, non allo stesso livello di una ambasciata, esattamente il quello che avrebbe dovuto avere. Sono stato particolarmente colpito dall’intervento di Jared Kushner, che ha rimarcato ciò che è avvenuto a Gaza, senza ignorarne il peso.

È stato giusto festeggiare, nonostante gli scontri?

Sì, era un momento importante. In particolar modo è stato curioso notare come mentre Israele stava festeggiando un momento di gioia e di arricchimento delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, a Gaza i membri di Hamas erano impegnati a festeggiare la morte e la distruzione. Se si guarda all’immagine utilizzata dalla Cnn riguardo gli avvenimenti in Israele e Gaza, si può notare come da un lato ci siano i manifestanti di Hamas e dall’altro le figure presenti alla cerimonia: immagini come questa rendono l’idea di quanto i palestinesi si siano voluti allontanare dagli Stati Uniti.

Cosa è successo davvero a Gaza?

I palestinesi possiedono un talento naturale nell’attrarre verso di sé l’attenzione dei media. Traggono enormi vantaggi dall’interesse dei media occidentali, cercando costantemente di entrare nel cuore e nelle menti della gente. Eppure è così incoerente voler conciliare l’abilità di attrarre le attenzioni dei media da un punto di vista umanitario, ma allo stesso tempo mandare a morire centinaia di civili. Come si può fare breccia nel cuore di un popolo se si contribuisce alla morte di chi ne fa parte? Hanno lanciato molotov, esplosivi di diverso genere, sostanze incendiarie anche contro i raccolti che Israele stessa aveva destinato alla popolazione, questa è la strategia di Hamas. Utilizzare esplosivi e armi che hanno la capacità di uccidere, e poi lamentare una risposta israeliana avvenuta con sostanze lacrimogene, non solo legali ma anche infinitamente meno dannose di quanto usato da loro stessi.

I media, però, hanno parlato di strage.

Ciò è accaduto perché il modo in cui gli avvenimenti di Gaza sono stati descritti non ha a che fare con i palestinesi, bensì proprio con l’incoerenza e l’ipocrisia dei media occidentali. Se migliaia e migliaia di manifestanti violenti armati di bombe incendiarie, molotov e quant’altro si avvicinassero ai confini di una qualunque nazione al mondo iniziando ad attaccare, la risposta sarebbe certamente più aggressiva di quanto avvenuto in Israele. Con la differenza che Israele, ritirandosi da Gaza, ha dato ad Hamas e alla popolazione di Gaza la possibilità di gestire quell’area in totale autonomia, gli stati europei darebbero la stessa possibilità ad un’organizzazione terroristica all’interno dei loro stessi confini?

Donald Trump ha spaccato la comunità internazionale o è possibile che nel medio-lungo periodo molti Paesi seguano il suo esempio?

Se c’è qualcuno che ha davvero diviso la comunità internazionale sul Medio Oriente quello è stato Barack Obama. Ci sono invece delle forze politiche in Europa che appoggiano la linea di Trump sul Medio Oriente, ad esempio nel caso italiano il leader della Lega Matteo Salvini si è espresso a favore dello spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme. Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, per non parlare di numerosi stati africani e sudamericani. Gli Stati Uniti non sono soli, perché anche le nazioni europee contrarie alla dottrina Trump hanno all’interno delle forze politiche che ne appoggiano le decisioni.

Un alleato americano come l’Ue, però, non sembra seguire gli Usa su questa vicenda. Perché?

L’Unione Europea è un involucro vuoto, senza più contenuti. Non c’è posto per l’Unione Europea al tavolo delle trattative e l’opinione di alcune figure, come il l’Alto Rappresentante Federica Mogherini non hanno alcun valore né rappresentano una posizione ufficiale condivisa da tutte le nazioni e le forze politiche. Nel caso della questione palestinese l’Ue si sta comportando in maniera irresponsabile, finanziando massicciamente la costruzione e il supporto logistico dei palestinesi nell’area C della Cisgiordania, un’azione del tutto illegale secondo gli accordi di Oslo al quale l’Unione Europea si appella quando vuole criticare Israele. Violare gli accordi di Oslo per un’istituzione che si appella costantemente alla legalità delle azioni palestinesi in Cisgiordania è un suicidio politico. Finanziando ed appoggiando pubblicamente (si può notare che su queste costruzioni campeggia la bandiera dell’Unione Europea con annessi ringraziamenti per i finanziamenti) la violazione di “Oslo 2”, l’Unione Europea contribuisce attivamente alla distruzione di qualsiasi processo di pace futuro, mostrando al mondo l’ipocrisia che si nasconde dietro le istituzioni europee.

Come valuta le mosse del presidente Usa in Medio Oriente?

Se si guarda alla strategia di Trump si possono elencare alcuni punti fondamentali strettamente correlati tra loro: in primo luogo esiste una divisione netta tra alleati e nemici degli Stati Uniti. Logicamente, lo step successivo è di natura economica, ovvero gli alleati degli Stati Uniti possono beneficiare di ottime relazioni economiche e di benefit, i nemici non possono. Questo discorso non è applicabile solo, ad esempio, all’Iran e alle nazioni dichiaratamente anti americane, ma anche all’Europa: se gli stati europei vogliono i benefit, allora devono dialogare con Trump. La dottrina internazionalista di Obama, mirata a porre prima gli interessi della comunità internazionale nella sua complessità e solo in un secondo momento quelli della nazione americana, ha fatto pagare agli Stati Uniti un prezzo troppo alto, ovvero creare una spaccatura tra noi e i nostri alleati storici. Trump ha capovolto totalmente la dottrina Obama e sta ricucendo lo strappo con questi attori, in particolare Egitto, Israele e paesi del Golfo.

Cosa si aspetta ora?

È difficile dire cosa accadrà nel lungo periodo perché dipende dalla linea politica del successore di Trump. Ma se un futuro presidente americano decidesse di continuare in questa direzione, ovvero porre gli interessi nazionali prima di quelli della comunità internazionale (così come avvenuto non solo con Repubblicani come Nixon, Carter e Bush ma anche con Democratici come Kennedy, Johnson, Truman o Roosevelt), allora anche gli interessi degli alleati verranno prima di quelli dei non-alleati. Il pericolo con Trump è che se questa dottrina dovesse essere portata agli estremi potrebbe condurre gli Stati Uniti ad un “nuovo isolazionismo”. Questo è importante soprattutto per il Medio Oriente, considerando il crescente raffreddamento dei rapporti tra Stati Uniti e Turchia e i rapporti con il nuovo governo in Iraq. Se davvero Trump ha deciso per un disimpegno in Medio Oriente, sarà importante anche mantenere buoni rapporti con le potenze regionali, perché altrimenti si ritroverebbe in un secondo momento a dover impegnare più Truppe per difendere interessi ed alleati.

Quali cambiamenti concreti implica lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme?

In linea pratica nulla. Lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme non ha nulla a che vedere con il processo di pace. In teoria, la questione più spinosa è che il continuo manifestare contro gli Stati Uniti, il continuo dire “no” a qualsiasi iniziativa americana in merito al processo di pace da parte dei palestinesi non gli porterà ad ottenere di più. Ogni rifiuto condurrà a sempre meno concessioni, non “nessuna”, ma sicuramente meno di quelle che otterrebbero collaborando. Dagli accordi di Oslo ogni proposta alternativa è stata rifiutata radicalmente dai palestinesi, e le amministrazioni americane che hanno seguito il processo di pace, pur di raggiungere tale obiettivo, hanno continuato a elaborare piani per concedere sempre di più. L’idea americana oggi è quella di diminuire, non cancellare, ma diminuire l’appoggio alla causa territoriale palestinese allo stesso modo con cui i palestinesi hanno e continuano a rifiutare qualsiasi proposta alternativa. Infine, il presidente Trump è disposto a dialogare con tutti i leader del mondo, ma alcuni di loro, in particolare leader come Abbas o come Angela Merkel non sembrano avere gli strumenti per sostenere un dialogo con lui. In queste condizioni, nonostante ci sia la concreta possibilità che Trump chieda ad Israele di fare delle concessioni ai palestinesi (ad esempio circa alcuni quartieri di Gerusalemme), è probabile che siano proprio loro a non voler accettare tale proposta. Il nemico peggiore dei palestinesi sono, forse, i palestinesi stessi.

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