Sono i giorni, questi, dei “dettagli”. Non soltanto di quelli inerenti al “contratto di governo”, ma anche di quelli che trasudano dalle affermazioni dei contraenti. Ieri Di Maio ha affermato: “Queste sono le giornate in cui raccontiamo agli italiani quello che i nostri iscritti ieri hanno votato sulla piattaforma, il contratto di governo.”
Il ragionamento implicito è che oltre 60 milioni di cittadini italiani vanno istruiti nel più breve tempo possibile riguardo alle decisioni di 44mila iscritti ad una piattaforma online. E che imparino presto, i sessanta milioni! Lunedì i giochi saranno fatti.
Poi il leader pentastellato ribadisce: “Approvato il contratto di governo nelle prossime ore, quindi in questo fine settimana, scioglieremo anche il nodo premier; poi ci dedicheremo alla formazione della squadra di governo”
Normalmente, secondo la Costituzione, è il premier che sceglie la squadra di governo. È lui che interloquisce con il Capo dello Stato e con i propri ministri, da lui scelti, e che decide sempre nel rispetto delle Leggi vigenti e della Costituzione. Che sono antecedenti al contratto di governo tra i due signori. Paradossalmente (ma non troppo): il futuro presidente del Consiglio non ha firmato il contratto di governo.
Di Maio ha continuato: “Io non faccio nessun nome – a proposito del premier – ma è chiaro che debba essere una persona amica del popolo”.
Chi è il popolo? I 60 milioni? I 44mila? Gli elettori di Di Maio? Il presidente del Consiglio non deve essere amico di nessuno: deve governare. La vera “amicizia” del Presidente del Consiglio nei confronti del popolo consiste nel fare tutto ciò che occorre affinché le leggi siano applicate. Se Di Maio diventasse presidente del Consiglio, vedrebbe immediatamente chi è il popolo che – volente o nolente – potrebbe trasformarsi da un momento all’altro nel “corpaccio” di manzoniana memoria.