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Venezuela, gli altri “candidati” della farsa elettorale di Maduro

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Le elezioni presidenziali del 20 maggio in Venezuela sono una messa in scena che gran parte del mondo sta condannando. Sebbene il ritorno alle urne poteva apparire una soluzione per la crisi economica e umanitaria che attraversa il Paese, le condizioni di trasparenza e legalità del processo elettorale dovevano essere garantite per ricoprirlo di senso.

Gli Stati Uniti, l’Unione europea e gran parte dei Paesi latinoamericani hanno dichiarato di non riconoscere i risultati delle prossime elezioni venezuelane. Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, deplora “profondamente che le elezioni presidenziali del 20 maggio in Venezuela siano state indette senza un ampio accordo sul calendario elettorale né sulle condizioni per un processo elettorale credibile e inclusivo”.

L’Unione europea ha consigliato di posticipazione l’appuntamento elettorale per garantire la “partecipazione di tutti i partiti politici in condizioni di parità”, concordando un calendario con le forze dell’opposizione per assicurare “elezioni conformi agli standard internazionali”.

CHI CREDE NELLE ELEZIONI IN VENEZUELA

Gli unici Paesi che si sono espresso a favore delle presidenziali venezuelane sono la Russia, Bolivia, Cuba, Ecuador e Nicaragua. Il portavoce del Ministero degli Affari esteri russo, Maria Zakharova, ha detto che il governo di Vladimir Putin è fiducioso che le elezioni presidenziali e di consigli legislativi regionali del 20 maggio serviranno “per raggiungere la riconciliazione civile”. Inoltre, spera che il processo si svolga in maniera “organizzata, pacifica e con successo, a favore dell’unione della società”.

I LEADER INTERDETTI

Le premesse però non sono le migliori. Sulla scheda elettorale, il cosiddetto “tarjetón”, il volto del presidente Nicolás Maduro appare dieci volte, tante volte quanti i partiti che lo sostengono. I leader dell’opposizione sono stati tutti, senza eccezione, interdetti politicamente per impedire la loro candidatura. Leopoldo López, Henrique Capriles Randoski, Antonio Ledezma, Ramón Muchacho, Freddy Guevara, Maria Corina Machado e David Smolansky, tra altri, sono stati costretti a rispondere ad accuse e reati (quasi tutti di natura politica), per cui non hanno i requisiti imposti dal Consiglio Nazionale Elettorale per la candidatura.

Tuttavia, la messa in scena di Maduro conta su altri protagonisti per rivestire il processo di legittimità. Secondo il sito dell’emittente televisiva Telesur, nelle elezioni del 20 maggio ci saranno “cinque candidati di diverse forze politiche”. “Dopo un bilancio accurato, e alla fine della chiusura del periodo per presentare le candidature, il Consiglio Nazionale Elettorale ha concluso che ci sono cinque candidati per le presidenziali”, ha dichiarato il direttore del Cne, Socorro Hernández.

MADURO, IL PRESIDENTE

Il primo è Nicolás Maduro, “candidato della Rivoluzione Bolivariana”, si legge sul sito di Telesur. Il presidente venezuelano è sostenuto dal Fronte Ampio della Patria, il Partito Socialista Unito del Venezuela, il Partito Comunista del Venezuela, Patria Per Tutti, l’Unità Popolare Venezuela e Siamo Ora, tra altre formazioni politiche. Maduro consegnò al presidente del Cne, Tibisay Lucena, il Piano della Patria 2025, un documento con 30mila proposte per superare la crisi venezuelana, tutte sulla base “del popolo venezuelano con lo sguardo verso il futuro e la crescita economica”.

QUIJADA, LO SVIZZERO

Un altro candidato è Reinaldo Quijada, dell’Unità Politica Popolare. Ingegnere di 58 anni, si dice “difensore del processo rivoluzionario”. È nato a Ginevra, in Svizzera, ed è uno dei sostenitori del colpo di Stato del 1992 di Hugo Chávez contro il presidente Carlos Andrés Pérez. Per anni è stato membro del Partito Socialista Unito del Venezuela ma dopo la morte di Chávez si è dimesso. Considera Nicolás Maduro un traditore del progetto politico di Chávez.

FALCÓN, IL MILITARE

Henri Falcón, candidato dell’Avanzata Progressista, è un altro ex chavista che cerca di sfidare Maduro alle presidenziali. “Andiamo alle elezioni con morale, senza doppi discorsi. Non è il momento dei dettagli, è l’ora della gente”, ha dichiarato. Il militare e avvocato, nato nello stato Yaracuy nel 1961, è stato sindaco nella città di Barquisimeto. Conta con il sostegno del Partito Socialcristiano e il Movimento Al Socialismo.

Secondo Falcón, ci sono le condizioni per garantire la trasparenza nelle elezioni: “Siamo riusciti ad avere gli osservatori internazionali in tutto il processo, dall’inizio alla fine […] La nostra proposta di governo cercherà di risolvere i problemi economici del Paese”. Il piano principale del militare è la dollarizzazione dell’economia venezuelana.

RATTI, L’IMPRENDITORE

Luis Alejandro Ratti è uno dei candidati indipendenti. Membro del Fronte Bolivariano di Hugo Chávez fino al 2016, ed è stato militante del Movimento Al Socialismo, ma ora si presenta senza sostegno di alcun partito politico. Imprenditore di successo nello stato Aragua, dice di essere “l’unica opzione democratica” nella scheda elettorale. La sua principale proposta do governo: l’apertura internazionale per promuovere la crescita economica, con gli Stati Unti e l’Argentina.

BERTUCCI, IL PASTORE

Per ultimo c’è Javier Bertucci, candidato di Speranza per il Cambio. Bertucci è un pastore che guida la Chiesa cristiana Maranatha, con migliaia di fedeli in Venezuela. Ha detto che, una volta al potere, toglierà il controllo del cambio della divisa che è in vigore dal 2003, e governerà con i valori cristiani per uscire velocemente dalla crisi economica.

UNA FARSA RIPETUTA

La presenza di questi candidati non è garanzia di elezioni regolari. Come ricorda l’analista Rubén Aguilar Valenzuela, “in un Paese con più di 300 prigionieri politici e un presidente, Nicolás Maduro, che controlla in maniera assoluta tutti i poteri dello Stato, le elezioni non sono altro che una farsa […] Maduro non lascerà mai la presidenza e dal potere troverà la forma di continuare ad organizzare altre farse elettorali per travestire la dittatura in democrazia. Come ha fatto tutti questi anni”.

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