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Sport e religione vanno d’accordo. Nel nome dei valori umani

“Dare il meglio di sé”: l’incipit del titolo del nuovo documento vaticano sul tema dello sport ha un sapore fortemente motivazionale, ma a una lettura più attenta si nota che le ragioni della sua stesura non sono nient’affatto superficiali. La dichiarazione mette infatti in luce quali sono le conformità tra lo sforzo che lo sportivo mette in atto nella sua attività, per raggiungere i migliori risultati, e quello della fede, che si esprime nell’impegno a mantenere una vita cristiana, orientata al bene, al bello, al vero, al giusto. E per nulla più semplice, nel metterlo in pratica.

“Lo sport è una ricchissima fonte di valori e virtù che ci aiutano a migliorare come persone. Come l’atleta durante l’allenamento, la pratica sportiva ci aiuta a dare il meglio di noi stessi, a scoprire senza paura i nostri limiti, e a lottare per migliorare ogni giorno. In questo modo, ogni cristiano, nella misura in cui si santifica, diventa più fecondo per il mondo”, sono le parole di Papa Francesco, inviate in occasione della presentazione del documento.

Mentre in tutta Roma, infatti, clamore e trambusti sono riservati alla nascita del nuovo esecutivo italiano, che segna in un certo qual modo il nuovo protagonismo politico dei cattolici (qui l’articolo su Formiche.net di Domenico Delle Foglie), scandito dagli appelli di Bassetti alla politica, caratterizzati da equidistanza e attenzione critica, nell’invito al rispetto della volontà popolare e delle istituzioni, e dall’invito lanciato da alcuni vescovi, diocesi, e persino dai frati di Assisi, di pregare per la Patria e per il Capo dello Stato, a due passi da Piazza San Pietro, in Sala stampa Vaticana, il Card. Kevin Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, assieme alla ricercatrice e membro della Società Italiana di Storia dello Sport Antonella Stelitano, al gesuita e docente di teologia a Seattle Patrick Kelly, e al Responsabile dell’Ufficio Chiesa e Sport dello stesso dicastero vaticano, Santiago Pérez de Camino, interveniva per mostrare ai giornalisti il nuovo documento del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, dal titolo Dare il meglio di sé. Sulla prospettiva cristiana dello sport e della persona umana.

L’obiettivo del documento, come ha affermato il pontefice nel suo messaggio, è quello di “evidenziare il ruolo della Chiesa nel mondo dello sport e come lo sport può essere uno strumento di incontro, di formazione, di missione e santificazione”. Un ruolo positivo, di unione e di collaborazione comunitaria. Lo sport è infatti “un luogo di incontro dove persone di ogni livello e condizione sociale si uniscono per ottenere un risultato comune”, caratteristica che lo porta ad essere anche “un veicolo di formazione”, e persino un “mezzo di missione e santificazione”, ha spiegato il Santo Padre. Perché “la Chiesa è chiamata ad essere segno di Gesù Cristo nel mondo, anche mediante lo sport praticato negli oratori, nelle parrocchie e nelle scuole, nelle associazioni”, ha detto Francesco. “Lo sport può aprire la strada verso Cristo in quei luoghi o ambienti dove per vari motivi non è possibile annunciarlo in maniera diretta; e le persone, con la loro testimonianza di gioia, praticando lo sport in forma comunitaria possono essere messaggere della Buona Notizia”, ha proseguito Bergoglio. Per questo, “dare il meglio di sé nello sport è anche una chiamata ad aspirare alla santità”.

Concetto ribadito dal cardinale Farrel, che nel suo intervento ha spiegato come il titolo del documento sia “senza dubbio un’espressione che si applica sia nell’ambito dello sport sia in quello della fede”. In quanto “da una parte richiama lo sforzo, il sacrificio che uno sportivo deve assumere come costante della propria vita per ottenere una vittoria o semplicemente per arrivare alla meta”. E che analogamente “anche nell’ambito della fede, siamo chiamati a dare il meglio di noi stessi per arrivare alla santità, che, come il Papa ha evidenziato nella Gaudete et exsultate, è una chiamata universale, rivolta a tutti, anche agli sportivi”.

Un documento quindi sulla bellezza dello sport e sul valore delle virtù messe in pratica dagli atleti nella loro espressione fisica. Ma anche un testo di forte denuncia di alcune, in particolare quatto, delle malattie che affliggono le attività sportive: svilimento del corpo, corruzione, tifo incontrollato e doping. Dove, nel caso di quest’ultimo punto, si mette in luce, all’interno del lungo documento, presentato in cinquanta pagine complessive, come venga purtroppo praticato anche dai singoli stati nelle competizioni internazioni (qui il documento integrale promosso dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita).

Nello scorrere dei cinque capitoli infatti, che si occupano, come ha approfondito Farrel, del “rapporto tra la Chiesa e lo sport”, di “una descrizione del fenomeno sportivo con un sguardo attento alla persona umana”, di “alcune delle sfide odierne che lo sport è chiamato ad affrontare”, e infine del tema della “Chiesa e la pastorale dello sport”, ampio spazio viene dato a problematiche come il doping, che “nuoce alla comprensione fondamentale dello sport”, alla corruzione, “che “può portare lo sport alla rovina”, al rischio di ridurre il corpo “allo stato di oggetto o vissuto solo materialmente”, nonostante lo sport sia “l’esempio più evocativo di unità tra corpo e anima”, e infine del tifo incontrollato. Che, quando quest’ultimo è “sentimento condiviso, trasversale alle generazioni, al sesso, alle razze, alla fede religiosa, è una fonte fantastica di gioia e bellezza”, ma che, quando invece “degenera in violenza”, “le squadre, le associazioni e le federazioni sportive, sia nelle scuole che nello sport professionistico e di vertice, hanno la responsabilità di assicurare che il comportamento degli spettatori rispetti la dignità di tutte le persone che partecipano o assistono a un evento sportivo”.

Diversi accenni anche all’aspetto della “religiosità” dello sport, in cui si ricorda come nella riscoperta moderna delle Olimpiadi le finalità erano quelle di un “programma pedagogico globale per educare le giovani generazioni di tutto il mondo”, il che rendeva “l’olimpismo decisamente una religione laica”. Con il rischio però, ancora vivo, “di una sua strumentalizzazione per ragioni ideologiche”. “Non si può negare che lo sport moderno, in particolare quello professionistico, sia piegato a finalità esterne come, per esempio, portare lustro alla nazione, mostrare la supremazia di un sistema politico o più semplicemente guadagnare denaro”, si legge in un capitolo del documento. Così che anche i politici e gli imprenditori tifosi sono ben avvisati.

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