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Con Galantino all’Apsa il papa ridisegna la Chiesa italiana. Parla Alberto Melloni

Il segretario della Conferenza episcopale italiana Nunzio Galantino è stato nominato direttamente da Papa Francesco alla guida dell’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, ovvero la tesoreria della Santa Sede, rilevando in questo modo il posto del cardinale Domenico Calcagno, uscente per motivi di età. La nomina è arrivata nonostante mancassero ancora nove mesi alla fine dell’incarico di Galantino presso la Cei, e ora il prelato si troverà alla guida di uno dei soggetti vaticani maggiormente al centro delle polemiche negli ultimi anni, già a partire dalla questione delle competenze sui beni immobili, delle quali era stato in un primo momento privato, ma che ha visto poi restituirsi in un secondo momento. In settimana sono poi attese ulteriori importanti nomine da parte del Papa, a partire da quella del nuovo “sostituto”, ovvero il numero due della Segreteria di Stato, oppure del Dicastero della Comunicazione, della Segreteria dell’Economia, o del nuovo presidente dello Ior.

“L’annunzio è motivo per esprimere da subito apprezzamento per quanto nella sua veste di Segretario Generale ha fatto a servizio della nostra Conferenza Episcopale”, ha affermato a caldo il presidente della Cei Bassetti, commentando la nomina. “Il cammino condiviso mi ha fatto toccare con mano l’intelligenza e lo zelo con cui ha portato avanti iniziative e attività, spendendosi in modo convinto in particolare per mettere a fuoco alcuni criteri essenziali di rigore nell’elargizione di contributi con fondi provenienti dall’8 per mille. In tal modo, abbiamo reso ancora più rigorose le procedure di tale erogazione, secondo la linea auspicata da tutti i Vescovi per un’amministrazione dei beni della Chiesa secondo chiarezza e trasparenza”.

In questa conversazione con Formiche.net, il professore Alberto Melloni, storico della Chiesa ed editorialista di Repubblica, ha fatto il punto sulla scelta operata da Papa Francesco, e su cosa cambia ora sia per la tesoreria della Santa Sede che per la Chiesa italiana.

Professore, qual è il senso dell’importante nomina del segretario della Cei a guida dell’Apsa? Era già nell’aria oppure ha colto di sorpresa?

Si parlava molto del fatto che il segretario della Cei fosse alla fine del quinquennio e dopo la nomina di un nuovo presidente che rispecchiava molto le sensibilità di Francesco, era prevedibile che non fosse più strettamente necessaria la sua presenza. Perciò per lui si era parlato di qualche grande sede diocesana o di un incarico importante sui migranti. Questa nomina correda la sorpresa iniziale della sua stessa scelta, come segretario generale: che il Papa metta il patrimonio della Santa Sede in mano a un cardinale non esperto di quattrini, ma di un vescovo esperto di tutt’altro, cioè di vita pastorale e di prossimità alla povera gente. Questo da un bel segno riguardo a quello che era accaduto in precedenza con il cardinale Pell, cioè dell’accettazione di una logica manageriale, e si ritorna così su una scelta che segna un cambio di paradigma.

Questa nomina sposta degli equilibri all’interno della Chiesa italiana?

In questo momento tutto quanto viene ridisegnato e il Papa dovrà scegliere un nuovo segretario, cosicché si designerà quale sarà il modo in cui la Chiesa italiana dovrà interloquire con la politica. Specialmente in un momento delicato in cui si fa spazio un’egemonia di Ungheria, Polonia e altri Paesi su questioni centrali del dibattito internazionale.

Qual è la posizione della Chiesa cattolica sul tema immigrazione, specialmente nei confronti del nuovo governo Conte, e in questo momento di scontri internazionali?

La posizione della Chiesa è chiarissima da sempre e per sempre, e non credo che ci sia arretramento alcuno su temi come accoglienza, difesa dei diritti e dei poveri. Qui la Chiesa non ha niente da cambiare, ma dovrà insegnare e proporsi nel modo in cui il suo messaggio viene giocato nel rapporto con il governo e con il proprio popolo. In cui, tra le altre cose, la predicazione leghista ha rosicchiato sì voti ai partiti, e consensi, ma anche rosicchiato aspetti più profondi.

Che impressione le ha fatto la visita di Macron a Roma?

Dal punto di vista protocollare era la fine di un’assenza del presidente francese a Roma. Segna cioè la cessazione di uno stato di ruvidità. Ma il vero problema è quello che riguarda il ruolo europeo di Macron e della politica europea della Santa Sede. Il rapporto cattolico ad esempio con il populismo è una questione che penso sia stata toccata anche in questo colloquio, e il Papa ha bisogno di ascoltare voci diverse, nonostante tra i due ci sia un abisso. Basta pensare che Macron tira missili in Siria quando il Papa parla di pace, e in questo c’è una responsabilità non irrilevante del presidente francese.


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