Non ricordo se, nell’affastellarsi alluvionale dei suoi ricordi in forma di diario, Giulio Andreotti abbia mai fatto cenno alla sua prima volta da Presidente. Forse sì. Andrò a controllare. In questo momento mi viene in mente questo impossibile paragone: il simbolo eterno dell’inossidabilità politica italiana, testimone privilegiato della Prima Repubblica, e il professor Conte, presidente “per caso”, sui cui omeri incombe, tuttavia, l’onere di dar vita nientepopodimeno che alla Terza Repubblica del cambiamento. Non so se dietro la scorza dell’impenetrabile Andreotti, che alla sua prima presidenza del Consiglio aveva 53 anni, uno in meno del professor Conte, battesse un cuore emozionato nonostante l’ostentazione di professionale imperturbabilità. Giuseppe Conte ha dichiarato ai media, invece, la sua emozione, guadagnando in empatia.
Del resto, a parte qualche piccolo misunderstanding con le cancellerie di un Paese mediterraneo di undici milioni e mezzo di abitanti e qualche esuberanza di troppo da parte di ministri che si sono dimenticati di staccare la modalità “campagna elettorale”, l’avvio del governo è circonfuso da un tale consenso da far venire i lucciconi agli occhi.
Swg questa mattina sciorinava dati freschissimi, secondo cui il 44% degli italiani non trovava altra soluzione possibile alla crisi se non il governo in carica, e solo il 24 faceva il tifo per Cottarelli e il voto a settembre (ma c’è pure un 18% che voleva le urne a luglio: 18 più 24 fa 42. Non pochi anche questi). Vero è che, sempre secondo il sondaggio, il 38% degli intervistati dichiara aspettative per il futuro alquanto nere, visto che vede la sua condizione sociale in calo (l’anno scorso, con Gentiloni, era il 29%), ma, in compenso, secondo l’Swg riprenderebbe fiato la classe politica, ritenuta obiettivo della ribellione del popolo solo dal 21% , con un calo dell’11% rispetto allo scorso anno.
Insomma: rivoluzione compiuta, ora stiamo a vedere con fiducia. Il presidente Conte ha parlato con accenti istituzionali delle ormai note clausole contrattuali del programma di governo, allargando l’orizzonte temporale di flat tax e reddito di cittadinanza, quest’ultimo declinato in due fasi, lanciando l’anatema del daspo a corrotti ed evasori, e insistendo sull’evergreen della lotta ai privilegi e al conflitto d’interessi. Tutto ampiamente anticipato dai due consoli, Salvini e Di Maio e dai numerosi esternatori di maggioranza.
Così anche le linee di politica estera, superamento di Dublino e apertura alla Russia, nel cuore di Lega e M5S. Non è mancata una densa citazione dostoevskijana per sostenere una sorta di orgoglio populista. Il suo impegno più grande, tuttavia, sarà quello di rivendicare a sé il ruolo che gli spetta, guardando in faccia i suoi due danti causa. A lui, come a tutti i politici in attività politicante, andrebbe bene il memento dell’illustre predecessore citato in apertura, immenso costruttore di aforismi.
Diceva Andreotti: “In politica i tempi del sole e della pioggia sono rapidamente cangianti”. Non si sa dove comprasse i suoi parapioggia, ma c’è chi giura di averlo visto una volta passeggiare sotto il sole di Roma con un elegante ombrello. Come un Conte inglese.