L’inchiesta sullo stadio di Roma e i recenti arresti riaprono il dibattito su corruzione, lobby e finanziamento a partiti e fondazioni. Come spesso accade in Italia, quando emerge un problema o scoppia un caso, ci si appella alla necessità di nuove leggi. La norma nel nostro paese ha un potere salvifico. Così si tende ad intervenire senza verificare preventivamente se esistono già regole da applicare e rispettare.
L’ipertrofia della regolamentazione accresce poteri: è nei rivoli e reti fitte che si annidano occasioni di corruttibilità. Ce l’ha spiegato Cassese qualche giorno fa: non servono nuove norme, esiste una Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, istituita nel 2012. Basterebbe ampliare l’attività a fondazioni e associazioni che abbiano rapporti finanziari con i partiti politici. Facile.
Così, con lo stesso grado di demagogia e banalizzazione, si tende a raccontare l’attività di lobbying come qualcosa di oscuro. Pronto il monito di Cantone che sottolinea ancora una volta la necessità di “regolamentare i rapporti tra politica, decisori e mondo delle lobby”. In un’ottica di prevenzione della corruzione piuttosto che di garanzia di partecipazione e di buon funzionamento dei processi decisionali e della democrazia deliberativa. Anche qui, ben vengano iniziative, come quella del registro dei lobbisti della Camera dei Deputati, che disciplinano le nostre attività e garantiscono reciprocità e trasparenza.
Ma, invece, di arrovellarci sull’annosa discussione sulla regolamentazione del lobbying, iniziamo con applicare le normative esistenti. AIR (analisi di impatto della regolazione) e VIR (verifica impatto della regolazione) già prevedono in alcuni casi la consultazione dei soggetti coinvolti. Noi lobbisti siamo pronti a sottoporci a obblighi e doveri se ci viene garantito accesso alle informazioni e partecipazione ai processi. Non ci appassionano più i dibattiti sui media che evidenziano polarizzazioni “buoni/cattivi”, “faccendieri/onesti”, invece di fare una distinzione tra capaci e incapaci, bravi e improvvisati. Non ci affanniamo più – come direbbe un esperto di comunicazione – a trovare uno storytelling alternativo. Non dobbiamo difenderci. Dobbiamo raccontare con trasparenza quello che facciamo. Dimostrare con il lavoro quotidiano che fare lobbying presuppone molto studio, approfondimento dei contenuti, conoscenza dei processi decisionali, grande curiosità e necessità di informarsi su tutto ciò che accade in politica, in economia, nel mondo.
Con questo spirito nasce #openlobby. Ormai alla terza edizione, il format ideato da Reti è l’occasione per capire da vicino cosa fa il lobbista, in cosa consiste il monitoraggio delle istituzioni, come si interviene sui processi decisionali. Uffici e porte aperte di Reti a giovani curiosi e aspiranti lobbisti. Ci racconteranno il loro lavoro: Massimo Bruno (Head of Institutional Affairs Italy di Enel), Daniele Chieffi (Head of Digital Communication di Agi), Francesca Chiocchetti (Public Affairs Manager di Samsung), Francesco Nicodemo (comunicatore e giornalista), Marco Margheri (Direttore degli Affari Istituzionali di Edison), Caterina Epis (Responsabile Relazioni Istituzionali di Tenaris Dalmine). Modereranno le sessioni tematiche: Valentina Renzopaoli (Affari Italiani), Roberto Arditti (Formiche), Lorenzo Robustelli (Eunews).
Trasparenza e condivisione, per far capire come la rappresentanza di interessi aiuti la democrazia a funzionare meglio. E renda i cittadini informati e i decisori consapevoli. Agli scettici diciamo: venite a trovarci!