Luigi Di Maio tenta di accreditarsi come ministro del lavoro partendo dalla questione dei fattorini motorizzati, ma rischia di essere inghiottito dalla rete delle aziende tra cui appunto Gnam, Foodora, ecc,trascurando invece la sorte dell’Ilva che lascia a casa oltre ben 20.000 addetti e dunque famiglie già in povertà per le note vicende che si trascinano da anni. La Fondazione De Benedetti ha valutato la vera consistenza dei rider(fattorini) in poche migliaia da non confondere con chi sceglie i così detti lavoretti e dunque Di Maio potrebbe volendo, resuscitare per questi lavoratori i mai troppo rimpianti vecchi voucher che sostituiti dalla nuova normativa stanno affondando tutta la stagione estiva poiché, malgrado il turismo sia ancora una forza straordinariamente trainante, gli albergatori denunciano la mancanza di strumenti adeguati e veloci per far fronte alle emergenze stagionali,quando si sa ormai le famiglie più di due settimane non vanno in vacanza, il trend va calando e non ritorneranno più le lunghe vacanze degli anni ‘60/’90.
Di Maio probabilmente figlio della sua esperienza di stuart precario allo stadio napoletano, pensa che impostare un tavolo di contrattazione per questi giovani sia una mossa vincente,ma complici i sindacati in cerca di nuovi tesserati, Di Maio farebbe cosa saggia e prudente farsi consigliare da chi un po’ di memoria storica giuslavoristica potrebbe (e nel ministero ci sono validissimi funzionari!) aiutarlo e metterlo su una strada di buonsenso.
Infatti non è una strada percorribile, oltre il ripristino dei vecchi voucher che prevedevano già un’assicurazione minimo salariale, ovvero quella di impostare una ipotesi di contratto nazionale seppur a tempo determinato, basta aver bene in mente cosa prevede in merito la normativa e la recente legge 81/2015 che ha abrogato il dlgs 368/ del 2001 già peraltro modificato dal dl n.34 del 2014, se come convertito in legge n.78 del 2014 che recepiva la direttiva comunitaria n.1999/70/Ce del 1999. Normativa relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, fra le maggiori organizzazioni intercategoriali in ambito europeo. Non si può procedere partendo appunto dall’art 19, comma 1, dlgs 81/2015 perché “omissis, non si realizzi l’autonoma valutazione del datore di lavoro” e dunque, non si può stipulare un contratto a termine poiché trattasi sì di una norma generica, ma, comunque per il datore di lavoro, tipologia contrattuale vincolante che allo scadere dei 36 mesi si dovrebbe trasformare in tempo indeterminato e nessuna delle multinazionali con esercizio in essere procederebbe in tal senso.
Le proposte di Di Maio racchiuse nel decreto dignità prevedono il riconoscimento per questi giovani di “lavoratori subordinati”, anche quando si utilizzano mezzi propri; abrogazione dell’articolo 2 del Jobs act, quello che disciplinava le “collaborazioni organizzate dal committente”; stop al cottimo per tutti i servizi intermediati da piattaforme online, come Foodora o Uber. E ancora, istituzione di “indennità di disponibilità” e “diritto alle disconnessione” per lavoratori assediati da notifiche; questi i sette articoli dedicati alla gig economy dal “Decreto dignità”.
I lavoratori del settore, classificati finora come autonomi, non possono essere considerati “prestatori di lavoro subordinato” ai sensi dell’art 2094 del codice civile, anche se le direttive “sono fornite a mezzo di applicazioni informatiche” e “a prescindere dalla titolarità degli strumenti attraverso cui è espletata la prestazione” (quindi anche se lo smartphone o il mezzo utilizzato sono di proprio possesso). La verità è che poi il problema è questa cornice contrattuale che dovrebbe applicarsi all’intero mondo della gig economy e di tutti coloro che lavorano on line. L’inquadramento di questi lavoretti come dipendenti con i costi da sostenere non sarebbe una convenienza di prestazione e sicuramente porterebbe un massiccio ridimensionamento di diverse aziende, con nuovo carico di stipendi e fisco, il servizio diventerebbe troppo costoso e meno richiesto e dunque chiuso.
Dunque il ministro sposti la sua attenzione sui problemi veri dei lavoratori e delle lavoratrici sempre più disoccupati, con una media europea da paura mentre la gig economy avanza. Noi, a questo riguardo, non siamo né preparati ad affrontare la stagione della digitalizzazione con una formazione adeguata, sia alle aziende sia ai nostri giovani e un ritardo clamoroso nell’utilizzo delle risorse già stanziate per i Competence Center dall’altro ministero di di Maio dell’economia dal Piano industria 4.0, né un piano vero e concreto per offrire ai nostri giovani non i lavoretti che peraltro non vogliono più, essendo aumentati appunto coloro che non cercano lavoro, non studiano e non lavorano. E soprattutto avendo evocato a sé i due ministeri, non molli Taranto, porto succulento per gli stranieri e l’Ilva con la sua storia di robustissima azienda di acciaio che comunque rinnovata rappresenta il vero oro nero che fa gola agli altri e noi non abbiamo saputo e voluto difendere e rilanciare come opportunità e sviluppo economico.