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Domino’s Pizza: l’errore (di molti) di equiparare i riders ai fattorini

È incredibile leggere su “Il Fatto Quotidiano” la notizia di Domino’s Pizza! Ancor più incredibili i relativi commenti: “bravi”, “ecco la riposta al precariato”.

L’incredulità lascia poi lo spazio allo sgomento quando – eliminato il titolo – si legge il contenuto dell’articolo che posso così riassumere: un operatore del settore della ristorazione decide un piano d’investimenti in Italia, e per lo svolgimento di tale attività decide di utilizzare il contratto di lavoro subordinato per chi dovrà essere assunto, ovvero l’unico contratto possibile per lo svolgimento di quella attività d’impresa. Tutto questo è dichiarato dall’imprenditore.

Ma ovviamente tutto diviene distorto, confuso e strumentalizzato facendo credere che “Domino’s” sia un’impresa come Foodora, Deliveroo, Just Eat e così via, e loro, “i buoni”, assumono i riders come lavoratori subordinati. Non è più possibile continuare ad accettare e giustificare questo modo falso ed erroneo di far comunicazione; la tanto citata “responsabilità sociale” dovrebbe essere un pilastro del mondo della comunicazione. Aprire pizzerie cosa c’entra con la gig – economy? Parlare di “fattorini” alle dipendenze di un’impresa all’interno della quale la “consegna” è la parte finale di un processo produttivo, cosa c’entra con i “riders”?

È disarmante assistere a tutto ciò dopo dibattiti, commenti, proposte, tavoli negoziali, bozze di decreti. Se le premesse del “tavolo istituzionale” per la gestione del tema della gig – economy è quella di invitare la proprietà di una “catena di pizzerie”, quindi un’impresa del settore della ristorazione, perché non Cracco? Peck? Ovvero tutti gli imprenditori che offrono il servizio delle “consegne”? Sinceramente credo che sia una battaglia persa. Una battaglia che vedrà vincere l’ignoranza contro la conoscenza; lo slogan contro la verità; la volontà distruttiva contro la voglia di capire e cambiare le cose.

Proviamo ancora una volta a tentare di capire: la questione non radicata sui “riders”, non vi è una preclusione nei confronti di coloro che con qualsiasi mezzo effettuano consegne. Il tema è molto diverso, il problema della loro qualificazione giuridica sorge quando essi vanno ad inserirsi o meno in un’organizzazione, in un’impresa: se fossimo all’interno di un’impresa come da noi conosciuta, che svolge una qualsiasi attività all’interno della quale la “consegna” è una parte del processo, non saremmo nemmeno qui a discutere.

La questione assurge a problema d’inquadramento quando l’impresa non “fa nulla”, è una piattaforma digitale che si muove su logiche on demand. Se prima di parlare o scrivere non capiamo questo, è tutto inutile. Rispondo infine a chi ritiene che non sia necessario implementare regole nuove. Credo che di fronte a fattispecie fattuali “nuove” sia un gravissimo errore applicare regole non costruite sugli elementi che le caratterizzano. Ed infatti ciò che è accaduto finora non ha fatto altro che creare contenzioso ed incertezza con pronunce giurisprudenziali che non hanno mai risolto il “dilemma” autonomia / subordinazione.

A maggior ragione laddove, come nel caso per cui si discute, gli elementi di novità non sono solo quelli afferenti la “prestazione” del lavoratore, ma vi è una “nuova impresa” che origina una “nuova economia” che va a sbaragliare tutte le regole dell’organizzazione ed intermediazione.

In Francia è stato approvato dal Parlamento l’emendamento alla legge “Pénicaud 2” con il quale si determina che le piattaforme debbano stilare una “Carta dei diritti e obblighi, nonché di coloro con i quali è in contatto”, garantendo un reddito dignitoso e pensando all’incremento del CPF (conto formazione professionale). Nessuna definizione di subordinazione, ma la presa d’atto di una fattispecie nuova che va regolamentata con le opportuna garanzia.

 

 

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