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F-35, se gli Stati Uniti tagliano fuori la Turchia

Gli Stati Uniti sono pronti a usare gli F-35 per convincere la Turchia a non proseguire con l’acquisto del sistema di difesa russo S-400. Non si tratta di un uso operativo, si badi bene, ma di un uso politico. Nonostante resti per ora confermata la cerimonia di consegna del primo velivolo a Fort Worth, in Texas, presso il sito di Lockheed Martin (come riporta DefenseNews), il Senato americano si appresta infatti a proporre l’interruzione della fornitura del caccia stealth ad Ankara, nella prospettiva di estrometterla dal programma almeno fino a quando non arriveranno segnali di convinta e decisa fedeltà all’alleanza con gli Stati Uniti, ad oggi ai minimi storici. Da ultimo, la scorsa settimana, è arrivato il secco rifiuto di Ankara alla richiesta americana di interrompere l’acquisto dell’S-400.

TRA ANKARA, WASHINGTON E MOSCA

L’ufficializzazione dell’accordo con la Russia sul sistema di difesa aerea (che Mosca utilizza abilmente come arma diplomatica) era arrivata a dicembre 2017. Era solo la formalizzazione di una distanza ormai incolmabile tra Ankara e Washington, apertasi a luglio del 2016 con il tentativo di golpe in Turchia e con il repulisti che ne è seguito. E mentre questa distanza cresceva tra incomunicabilità e incomprensioni, si riduceva quella tra Ankara e Mosca, con Vladimir Putin pronto a tendere la mano a Erdogan e a dimenticare in fretta l’abbattimento del Sukhoi russo sul confine siriano, a fine 2015, da parte di due F-16 decollati dalla base aerea Nato di Incirlik, in Turchia. Per il presidente russo, l’opportunità di inserire una fastidiosa spina nel fianco dell’Occidente era troppo allettante.

IL CONGRESSO SI DIVIDE

E così, dopo due anni, i legislatori americani si sono trovati a discutere sull’eventuale estromissione della Turchia, membro storico e rilevantissimo dell’Alleanza Atlantica, dal programma internazionale del caccia di quinta generazione F-35, che Ankara aveva pianificato di acquistare in 100 esemplari, il primo dei quali è previsto in consegna entro la fine del mese. Come riporta Al Monitor, nei giorni scorsi, il dibattito si è concentrato nella commissione Armed Services del Senato, chiamata a redigere la sua versione del National defence authorization act (Ndaa) per il 2019. La House, a fine maggio, aveva già approvato la sua: 717 miliardi di dollari, di cui 686 al Pentagono. Sulla questione turca, “il Congresso si è spaccato”, spiega il quotidiano online. A fronteggiarsi due diverse fazioni, assolutamente estranee alla logica partitica: chi vuole la Turchia fuori dal programma senza condizioni; e chi preferisce una via più soft per tutelare un ingente piano di acquisto.

LA VERSIONE DEL SENATO

Dopo una difficile mediazione, la commissione del Senato avrebbe optato per un compromesso che lascia comunque la strada aperta all’uscita di Ankara dal Joint Strike Fighter. Come ha spiegato il senatore repubblicano Thom Tillis (esponente della prima fazione), l’accordo prevede un divieto temporaneo della vendita di F-35, che resterebbe in vigore fino a quando il Pentagono non sottoporrà al Congresso “un piano per rimuovere il governo della Repubblica di Turchia dalla partecipazione al programma F-35”. In tal senso, i legislatori chiedono al dipartimento della Difesa un piano che preveda una scadenza per la rimozione di Ankara, oltre ai “costi associati alla sostituzione di strumenti e altri materiali manifatturieri detenuti dall’industria turca”.

E QUELLA DELLA CAMERA

La versione descritta da Al Monitor sembra decisamente più stringente e pessimistica rispetto a quella della Camera. I deputati di Capitol Hill avevano previsto, infatti, una sospensione temporanea di tutte le vendite del settore militare (inclusi i caccia F-35) fino a quando il dipartimento della Difesa non avrebbe dato un assessment al Congresso sull’impatto che l’S-400 avrebbe sui sistemi Usa che sono operati in comune con la Turchia. Dopo che anche l’assemblea del Senato approverà il bill sul Ndaa redatto dalla propria commissione, le due versioni si incontreranno nella fase di negoziazione che, presumibilmente, impegnerà tutta l’estate.

“LA TURCHIA FUORI DALL’F-35”

Eppure, Tillis avrebbe desiderato una versione ancora più rigida, che prevedesse il divieto di vendere gli F-35 alla Turchia fino a quando il presidente non avesse certificato che Ankara non sta degradando l’interoperabilità della Nato o non sta “ingiustamente e illegalmente detenendo uno o più cittadini americani”. Quest’ultimo riferimento è al pastore americano Andrew Brunson, arrestato dalle autorità turche con l’accusa di terrorismo sulla scia del repulisti che seguì il tentativo di golpe nel 2016.

“OCCHIO ALL’EFFETTO SULL’INDUSTRIA”

D’altra parte, altri senatori avrebbe preferito una versione meno univoca sull’ipotesi di esclusione della Turchia dal programma e soprattutto meno concentrata sull’F-35. Ad esprimere preoccupazione è stato in particolare il repubblicano del Texas Ted Cruz, che ha palesato i propri timori sull’impatto che una simile scelta avrebbe sull’industria americana della difesa. “Credo che servirebbe una marea di sanzioni e di influenze economiche e diplomatiche sulla Turchia, ma ritengo che fermare la vendita di F-35 sarebbe come tagliarsi il naso per salvarsi la faccia”, ha detto al quotidiano americano. Ben dieci aziende turche lavorano con Lockheed Martin per produrre il caccia di quinta generazione, integrate nelle catena di fornitura per realizzare componenti rilevanti. Anche su questo, la versione del Senato chiede dettagli al Pentagono per capire l’impatto complessivo di un’esclusione che ormai sembra più che una mera eventualità.

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