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Vi spiego perché il governo gialloverde è un’opportunità per il centrosinistra

gialloverde

La nascita del governo gialloverde allontana le elezioni politiche. Di quanto si vedrà, ma è probabile per un bel po’. Ma non riduce di un grammo, semmai accentua, l’urgenza per il fronte riformista di rigenerarsi, sia per svolgere al meglio il ruolo che spetta all’opposizione sia per iniziare a recuperare il consenso popolare perduto.
Perché ciò avvenga sono necessarie alcune condizioni.

La prima condizione è mettere a punto un programma alternativo al contratto di governo stipulato da 5 Stelle e Lega. In questo contesto, sono cinque i punti essenziali che individuo:
1. una cristallina prospettiva europeista fondata sul principio che noi vogliamo cambiare e migliorare l’Europa, rafforzarne il ruolo nella prospettiva degli Stati uniti d’Europa, combattendo ogni tentazione di abbandonare l’Europa e l’euro;

2. una riforma fiscale che rimodelli, dal basso, le aliquote e le tax expenditure, la no tax area, il cuneo fiscale e i contributi previdenziali, in un consolidamento della progressività, contro le iniquità economiche e sociali che deriverebbero dalla flat tax;

3. la centralità del welfare, per contrastare la povertà diffusa con l’irrobustimento del reddito di inclusione, realizzare politiche a favore dell’occupazione giovanile, riformare la legge Fornero sulla base degli accordi siglati nel 2016 con le forze sindacali, dare vita a una politica per la silver economy e prevedere un impegno straordinario per l’educazione scolastica e professionale;

4. la qualificazione del territorio, a cominciare dalle periferie urbane e dai piccoli centri, rafforzandone la sicurezza e garantendo un’accoglienza regolata e un decongestionamento a favore di vivibilità e della qualità della vita;

5. la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale in piena continuità con le politiche attuate in questi ultimi anni.

La seconda condizione è che si dia vita a un processo che preveda un’alleanza ampia, “democratica” più che “repubblicana”. Arrivare a formare una sola lista (per ora…) tra i partiti che hanno dato vita alla recente coalizione di centrosinistra. Lo scadente risultato elettorale supera l’obiezione che divisi si prendono più voti. È molto probabile che premi di più la novità che deriverebbe da una formazione politica che nasce ampia e plurale, ma unita; vera condizione per la credibilità di una nuova idea di “sinistra” davvero disancorata dalle reminiscenze storiche che ancora pesano. Dalle reminiscenze, non dagli ideali! Da qui, allargare l’alleanza alle altre forze politiche e sociali disponibili al programma riformista.

La terza condizione, conseguente, è che si veda all’opera un nuovo gruppo dirigente. A cominciare dal Partito democratico. L’allontanamento delle elezioni non diventi un alibi per rinviare questo ricambio. Il congresso del Pd, a questo punto, va accelerato e le candidature alla Segreteria devono portare un vento nuovo. Ci vuole una squadra rinnovata, solida, preparata e capace di parlare con consolidata competenza e passione a un popolo disorientato. Martina ha avviato questo percorso e il suo discorso, a conclusione della manifestazione dell’1 giugno, lo dimostra e la credibilità e la consolidata esperienza di Gentiloni, conquistata sul campo, può costituire l’avvio di una nuova stagione per tutta la coalizione.

Insomma, trasformiamo questa strettoia che ci attende nell’opportunità di cambiare. Questa crisi è stata vissuta dagli italiani, per merito e demerito dei media, con la passione irruenta e partigiana dei tifosi. Ma, ci fu un periodo nel quale qualità e vittoria andavano insieme e la parola simbolo di quella stagione era: ripartenza.



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