Patricia Wengraf ha un terzo occhio, che le permette di scovare il più bello tra il bello. L’abbiamo intervistata per il mensile di Telos A&S PRIMOPIANOSCALAc. Di mestiere fa la mercante d’arte e gira tra aste e collezioni private. Osserva migliaia di opere ma, tra tante, il suo terzo occhio si posa su una e una sola. Patricia è specializzata in bronzi del Rinascimento e del Barocco. E, più di una volta, ha comprato opere che suoi illustri colleghi avevano trascurato, perché è stata la sola a riuscire ad attribuirle ad autori del calibro di Giambologna e Leonardo Da Vinci. Cosa le fa dire quello sì tra tanti capolavori? Qual è l’urlo della foresta dell’arte?
Il tema del perché il bello è bello è uno dei grandi argomenti della filosofia. Cerco faticosamente di rispolverare le mie conoscenze di studentessa di storia dell’arte, ormai soffocate da anni di lavoro come lobbista. “Gli oggetti belli sembrano essere fatti al fine di suscitare emozioni estetiche, un senso di armonia in chi li contempla” scriveva Immanuel Kant nella Critica del Giudizio. Forse Patricia Wengraf ha provato quel senso di armonia che ha fatto in modo che la più bella tra le opere belle le si manifestasse con segnali di fumo, visibili solo al suo terzo occhio. È possibile. Ma, allora, dobbiamo chiederci se esista un modo per sviluppare la capacità di giudizio. C’è: la contemplazione della bellezza ha una funzione educativa. Nel caso di Wengraf, ma credo anche in generale, non si tratta solo di vedere tante opere d’arte ma anche le meraviglie del creato. La conoscenza dell’anatomia di animali maestosi come i cavalli, per esempio, l’ha portata ad attribuire a Leonardo da Vinci il Cavallo al passo, opera oggi prestata al Metropolitan Museum of Art di New York dalla Quentin Foundation.
Un occhio per l’arte non esclude un occhio per il business. Nel 2017 le case d’asta hanno registrato un aumento globale del 25% nel valore delle vendite. E l’Italia, il Paese dell’arte per antonomasia, come si colloca in questo mercato? Da noi, le norme che disciplinano l’esportazione delle opere sono molto più rigide che in altri Paesi. Inoltre la situazione è resa ancora meno fluida dal peso della burocrazia. Ci vorrebbe un lobbista al servizio dell’arte.