Le forzature del ministro Salvini sulle vicende dei migranti e del censimento dei rom, con il conseguente clamore mediatico, stanno ottenendo un effetto solo apparentemente secondario: distrarre l’opinione pubblica da quanto sta avvenendo sul piano economico. A dimostrazione di ciò, è sufficiente seguire il dibattito parlamentare sul Def, la mozione conclusiva approvata a larga maggioranza, ma, soprattutto, le dichiarazioni del ministro dell’Economia.
Già nella sua prima intervista pubblica, pochi giorni dopo la nomina, il prof. Tria si era posto l’evidente obiettivo di rassicurare le cancellerie europee sulla coerenza italiana in tema di conti pubblici, dopo l’avventurosa e irrazionale campagna elettorale di 5 Stelle e Lega. Ma, ieri, nelle sue dichiarazioni a Camera e Senato (quindi, in una forma ancor più autorevole), è stato addirittura più esplicito: “Il consolidamento del bilancio e il calo del debito sono condizioni necessarie per la fiducia dei mercati”. E, ancora, a proposito della giusta richiesta di scomputare le spese per gli investimenti pubblici dal deficit, aggiunge che “dovranno essere adeguatamente coperte e valutate per l’impatto sulla crescita e i conti pubblici”. E, infine, la riduzione delle tasse andrà realizzata “in linea a un andamento coerente della spesa pubblica”.
È pur vero che nel dibattito si è come assistito a un astuto gioco delle parti: da un lato, la prudenza del ministro dell’Economia, dall’altro, l’insistente richiamo al programma di esponenti del governo e della maggioranza politica che lo sostiene. In ogni caso, il tutto appare molto lontano dalle roboanti promesse elettorali riportate, poi, quasi pedissequamente, nel “contratto”. Lo conferma la stessa risoluzione approvata da Camera e Senato, che, se pur accenna alla modifica dei saldi, lo fa nel pieno rispetto dell’articolo 81 della Costituzione, quello sull’equilibrio di bilancio.
Ovviamente, chi, come me, ha trascorso gli ultimi 5 anni al ministero dell’Economia e delle Finanze e sa quanto sia difficile, ma indispensabile, l’equilibrio tra politiche espansive e vincoli di bilancio, non può che rallegrarsi delle affermazioni del prof. Tria. Ma, viene da chiedersi quanto può durare questa finzione e che succederà a breve – se stiamo alle dichiarazioni di Di Maio sui decreti dignità e di Garavaglia sulla flat tax estiva – o al massimo in autunno con la Legge di bilancio. La linea del ministro Tria sui conti pubblici è, infatti, del tutto incompatibile con il programma del governo Salvini/Di Maio su sociale, pensioni e fisco. Sarà il presidente Conte a sciogliere il nodo o i mercati e l’opinione pubblica?
La via di uscita da questa trappola c’è. Ed è quella di operare un rigoroso schema di priorità, spiegandolo agli elettori. Ma chi lo farà? E quali saranno le prime rinunce? Un reddito di cittadinanza già ridotto a sussidio provvisorio e limitato? La riforma della legge Fornero, già passata dalla totale abolizione a una “quota 100” che parte da almeno 64 anni di età, penalizzando diverse categorie? L’altra strada è quella di fare di tutto un po’, riducendo la portata riformatrice dei provvedimenti e individuando misure puntuali. Tuttavia, abbiamo già appurato noi che questa modalità non funziona: lascia troppe incompiute e troppi scontenti. Ma queste contraddizioni sono, finora, ben nascoste nel dibattito politico, tutto spostato su una questione altrettanto decisiva per l’Italia qual è quella dell’immigrazione.
Ecco perché l’alzo zero sull’altro, sul nemico esterno è molto utile per la luna di miele del governo, anche sul piano economico. E, se continua così, Salvini ci metterà poco a sostenere che è colpa dei migranti o dei rom se non si riuscirà a realizzare il reddito di cittadinanza, la riforma delle pensioni o la flat tax.