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Salvini come Putin? Senza vera opposizione nessuno potrà portargli via un voto

Italia salvini

Il fascino dell’uomo forte è storia vecchia e destinata a ripetersi. Nulla che debba sorprendere. Piuttosto, il dibattito resta aperto sul preoccuparsi o meno di questi periodici ritorni di fiamma per il decisionismo e la politica sbrigativa. Una premessa è d’obbligo: una cosa è interrogarsi sul successo travolgente di Matteo Salvini, tutt’altra faccenda occuparsi di Putin e Erdogan o, molto peggio, di sanguinari dittatori del passato. Lanciarsi in spericolati paragoni è una sciocchezza bella e buona, risposta facile-facile di una sinistra sbigottita al trionfo politico ed elettorale del leader della Lega.

Sottolineate mille volte le differenze, resta il dato di fondo: la parte di pubblica opinione, affascinata dalla politica muscolare e dai suoi interpreti, si sta moltiplicando sotto i nostri occhi e sta venendo definitivamente allo scoperto. Salvini piace, come piace da matti Putin. Anche se la stragrande maggioranza dei tifosi del “Capitano” neppure si pone il problema di valutare le abissali differenze fra i personaggi e le relative realtà, conta la percezione, il sapore di decisionismo. Non è solo “legge e ordine”, è qualcosa di più profondo. Un desiderio di stabilità e sicurezza, l’affidarsi a qualcuno che possa prendere finalmente delle decisioni comprensibili. Immediate nella realizzazione e vicinissime alla sensibilità del “popolo”. Il rapporto non può che essere diretto e in questo Putin è oggettivamente un maestro. Nessuna mediazione, nessuna spiegazione. Messaggi chiari, facili, diretti. Il linguaggio del potere che si fa linguaggio del popolo. Tutti uguali, ma qualcuno più uguale degli altri.

Perché in questo gioco saltare ogni mediazione (non a caso la diplomazia, che ne è una sublimazione, viene additata spesso come covo di serpi contrarie al popolo), c’è una cosa che non può mai mancare: il nemico. Non c’è infatti politica forte e muscolare, senza un obiettivo, una serie di ostacoli da rimuovere. Altro elemento imprescindibile sono, poi, i sostenitori che si trasformano in volenterosi ultras, pronti a difendere con entusiasmo e vigore il Capo. Mettete insieme le due cose, agitatele a dovere con un quotidiano martellamento sui nervi scoperti della nostra comunità e avrete… questi giorni.

L’Italia muscolare piace da matti a chi non ne può più di discorsi, richiami, ammonimenti, inviti e riflessioni. I risultati, si badi, sono dati per acquisiti. Oggi e subito, insomma. L’Italia del popolo s’è desta e vuole regolare i conti con le insopportabili élite e la politica estera di Merkel e Macron.

Basta tendere l’orecchio in strada o buttare un’occhiata anche distratta ai social: è un’ondata. Una marea montante “anti”, aggrappata a un variegato pantheon internazionale. Nessuno, da Putin a Erdogan, da Orban a Xi, è esattamente un campione di democrazia, ma poco importa. Decidono, mettono alla frusta, all’occorrenza minacciano un po’, ma soprattutto parlano facendosi capire all’istante. Curiosamente, pur strapazzando principi dati frettolosamente per intangibili in Europa, vengono percepiti da tantissimi italiani come più “democratici” del cancelliere tedesco o del presidente francese. Perché – ci risiamo – vissuti come dei fedeli interpreti del disagio del popolino, davanti alle mostruosità della globalizzazione. Una definizione – popolino – fino a ieri offensiva, oggi motivo di vanto. Come non sapere, non occuparsi o farsi bastare la spiegazione più facile e immediata.

Si può disprezzare tutto questo, come da anni fanno i radical chic, contribuendo mica poco allo sfacelo attuale della sinistra. Oppure, ci si può sforzare di capire e spiegare. Quella marea non si ferma con le mani, a meno di sporcarsele. Difendere i principi, ma comprendendo, dovrebbe essere il mantra dell’opposizione, oggi annichilita e spaventata. Accettando di ascoltare anche le pulsioni più politicamente scorrette, forse si comincerebbe a capire cosa sia accaduto al popolo, che non se ne è andato da un giorno all’altro.

Certo, se ai muscoli e alle parole d’ordine si continueranno ad opporre tragicomici allarmi sul ritorno del fascismo o dibattiti lunari sul “ripensamento” del Pd, Matteo Salvini farà bene a concentrarsi su Macron, perché in patria nessuno potrà portargli via un voto.


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