A distanza di cinque ore l’uno dall’altro, gli aerei di Kim Jong-un e di Donald Trump sono atterrati ieri a Singapore, la sede prescelta per il primo summit della storia tra un presidente degli Stati Uniti e il leader supremo della Corea del Nord, due paesi tecnicamente ancora in guerra che nella città-stato del Sud-est asiatico sono chiamati a prendere una serie di decisioni di grande portata per sé stessi e per il mondo.
Kim è arrivato all’aeroporto commerciale di Singapore poco dopo le due del pomeriggio, a bordo di un aereo della Air China messo a disposizione da Pechino. Il suo collega americano è giunto invece con l’Air Force One alla Base Paya Lebar intorno alle otto di sera. Entrambi sono stati accolti dal ministro degli esteri di Singapore Vivian Balakrishnan, prima di dirigersi verso i rispettivi alberghi, l’Hotel Shangri-la per The Donald e l’Hotel St. Regis per Kim, separati tra loro da meno di mezzo miglio.
Oggi sarà una giornata di intensi preparativi per i due capi di Stato e per il loro seguito. Una delegazione americana, guidata dall’ambasciatore nelle Filippine Sung Kim, sta mettendo a punto l’agenda del summit con quella del Nord al Ritz Carlton, in un incontro di estrema delicatezza in cui saranno affrontati i nodi cruciali del summit. Al di là del pranzo con il primo ministro di Singapore Lee Hsien Loong, Trump passerà invece la giornata in hotel, insieme al suo Segretario di Stato Mike Pompeo, al Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton, al chief of staff John Kelly e alla portavoce Sarah Sanders, con i quali studierà accuratamente i dossier.
Il vertice di domani si apre all’insegna dell’ottimismo ma anche dell’incertezza. Se infatti sia Kim che Trump si sono dimostrati ansiosi di incontrarsi a tu per tu e discutere apertamente delle cose che dividono i rispettivi paesi, gli analisti sono scettici sulla possibilità di raggiungere un risultato che possa essere dichiarato soddisfacente da ambo le parti.
Le aspettative di Trump si sono affievolite nelle ultime settimane, durante le quali la realizzazione dello stesso summit è stata messa più volte in discussione. Nonostante la promessa di Kim, reiterata più volte nel corso di quest’anno e inserita nella dichiarazione di Panmunjon siglata congiuntamente dal Maresciallo e dal presidente della Corea del Sud Moon Jae-in durante il loro primo incontro dello scorso aprile, di voler procedere alla denuclearizzazione della penisola coreana, sembra evidente che le intenzioni di Pyongyang non coincidano con i desiderata degli Stati Uniti. I quali, attraverso un tweet di Pompeo, hanno ribadito ieri che l’obiettivo da loro perseguito è la denuclearizzazione “completa, verificabile e irreversibile” (CVID) della Corea del Nord.
Ma sembra improbabile che la Corea del Nord rinunci una volta per tutte e senza precise garanzie ad un programma atomico e balistico faticosamente perfezionato nei sette anni di potere del giovane Kim. Un programma che Pyongyang considera la migliore garanzia per la propria sopravvivenza, oltre che un fattore che accresce lo status internazionale del regno eremita. Lo stesso summit di Singapore sembra essere la prova che ciò che Kim più agognava, ossia essere considerato un leader temuto con cui è necessario confrontarsi, è stato centrato in pieno. Kim e Trump domani si parleranno da pari a pari, e questo è un risultato chiave per il Maresciallo, che corona un sogno che era stato perseguito tanto dal padre Kim Jong-il quanto dal nonno Kim il Sung.
Ad abbassare le aspettative sull’esito del summit di domani c’è anche la storia delle trattative tra Corea del Nord, Stati Uniti e comunità internazionale: una storia ventennale in cui non sono mancate promesse solenni da parte di Pyongyang, puntualmente tradite per lo scorno di torme di negoziatori americani, sudcoreani, cinesi, giapponesi, russi e cinesi.
Sarà tutto, insomma, fuorché una passeggiata. Ma ciò non impensierisce il presidente degli Stati Uniti, che stamattina ha lanciato un tweet euforico: “È grande essere a Singapore, c’è eccitazione nell’aria”. Il tycoon fatica a celare l’entusiasmo per quella che, dal Canada, ha definito come una “missione di pace”. Una missione che, sia pur irta di ostacoli, Trump ha deciso di intraprendere per perseguire il sogno di uno storico risultato in politica estera, un campo finora avido di risultati per la sua presidenza.
Conscio che sarà difficile ottenere tutto in una sola puntata, Trump ha più volte evidenziato che l’importante sarà conoscersi. La cosa fondamentale, ha dichiarato sabato ai reporter, è costruire “una relazione” e intraprendere un “dialogo”, ossia imboccare la strada che potrebbe mettere l’artista del deal nelle condizioni di pervenire ad un’intesa. Infatti, ha dichiarato ancora alla stampa il tycoon, “lo sapete, come una persona che fa accordi, io me la sono sempre cavata molto bene”.
Com’è nel suo stile, Trump punta tutto sulla costruzione di un rapporto personale con il leader coreano. Nei giorni scorsi hanno fatto scalpore le sue dichiarazioni in cui ha sostenuto che non fosse necessario per lui prepararsi dettagliatamente per il summit, in quanto il fattore più importante sarà “l’atteggiamento” che i due leader terranno reciprocamente. Sarà sufficiente “la mia sensazione”, ha detto ancora il capo della Casa Bianca, per capire se tutto sta procedendo per il meglio. “Quanto tempo ci metterò a capire se sono seri o no? Io dico forse nel primo minuto”.
Trump è consapevole che non basterà un incontro per risolvere tutti i problemi. Lo ha fatto capire chiaramente dieci giorni fa quando, dopo aver ricevuto nello Studio Ovale l’inviato del Maresciallo, Kim Jong Chol, ha dichiarato che “non stiamo per andare lì a firmare qualcosa il 12 giugno”. Lungi dallo sperare nella decisione da parte del Nord di smantellare seduta stante il proprio arsenale atomico e missilistico, The Donald ha fatto intendere che l’obiettivo è “iniziare un processo”.
Trump sa che Singapore segnerà solo l’inizio di un lungo percorso, ma non lo teme e anzi lo incoraggia. La scorsa settimana ha ventilato un invito per Kim alla Casa Bianca, “se tutto va bene” nel summit di domani. Pochi giorni dopo, un articolo di Bloomberg riferiva di un probabile invito di Trump a Kim per un nuovo faccia a faccia da tenersi il prossimo autunno nel suo resort in Florida di Mar-a-Lago.
Confidando molto nelle sue capacità negoziale, Trump non esclude tuttavia un colpaccio: porre fine già domani, con un trattato di pace, la guerra di Corea del 1950-53, che si concluse con un mero armistizio. Sarebbe già un risultato storico, soprattutto per il convitato di pietra di questo summit, il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in che è stato una sorta di regista di tutta l’iniziativa. “Potremmo assolutamente firmare un accordo con la Corea del Nord”, ha affermato in proposito il presidente. “Ma quello sarebbe appena l’inizio. La parte difficile arriva dopo”.
La parte difficile sarà convincere Kim e la sua squadra a rinunciare alle ambizioni nucleari, negoziando un accordo che preveda lo smantellamento progressivo del suo arsenale e la presenza sul terreno di ispettori internazionali che monitorino l’intero processo. Si tratta, alla fine, dello stesso obiettivo perseguito nei negoziati precedenti condotti durante la presidenza di Bill Clinton, George W. Bush e Barack Obama, che tuttavia non sono riusciti a portare a casa alcun risultato – come Trump non si stanca mai di ripetere – a fronte della riluttanza, dell’imprevedibilità e dei continui voltafaccia della Corea del Nord.
Ma stavolta, pensa Trump, sarà diverso. “Sento che Kim Jong-un”, ha dichiarato pochi giorni fa il presidente, “voglia fare qualcosa di grande per il suo popolo, e ha questa opportunità. (…) Può prendere la sua nazione, con il suo grande popolo, e renderla davvero grande”. È all’empatia tra i due leader che potrà scoccare nel momento in cui si vedranno di persona che Trump guarda speranzoso, nell’ottica di strappare al dittatore del Nord concessioni tangibili.
L’appuntamento è dunque per domani alle 9 ora locale, nell’hotel Capella che sorge sull’isolotto di Sentosa, sulla punta meridionale di Singapore. Fonti del governo americano fanno sapere che il summit si aprirà con un tete-a-tete tra Trump e Kim che potrebbe durare tra una e due ore. Successivamente, si aprirà una sessione collettiva in cui interverranno i rispettivi consiglieri.
A partecipare ai lavori ci saranno, per gli Stati Uniti, Mike Pompeo, John Bolton, John Kelly, il suo vice Joe Hagin, il direttore degli affari asiatici del Consiglio di Sicurezza Nazionale Matthew Pottinger e il consigliere politico Stephen Miller. La delegazione del Nord comprende il ministro degli esteri Ri Yong Ho, il ministro della Difesa No Kwang Chol, il numero 2 del Comitato Centrale del Partito Coreano dei Lavoratori e intimo del Maresciallo Kim Yong Chol, e la sorella di Kim, Kim Yo Jong.
Anche se non è affatto escluso un nulla di fatto sul punto saliente delle trattative – la denuclearizzazione – il summit di domani entra di diritto nella storia solo perché si terrà. E perché farà stringere la mano a due leader politici che fino a pochi mesi fa si dilettavano a scambiarsi insulti e a minacciare la distruzione reciproca. Solo per questo, ne sarà valsa la pena.