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Un dibattito a Berlino sui populismi

Questa sera ho avuto modo di partecipare ad un interessantissimo dibattito sul destino della democrazia negli USA ai tempi di Donald Trump, organizzato dalla Bundeszentrale für politische Bildung a Berlino. Tra gli ospiti il Prof. Jan-Werner Müller, uno dei massimo studiosi di populismo. Tedesco di nascita, prof. all’Università di Princeton.
Sono molto felice di aver partecipato perché nell’ascoltarlo ho avuto come una serie di conferme di quello che, almeno per quanto rigaurda le strategie comunicative dei partiti socialdemocratici e non, da tempo scrivo, penso e ripeto fino alla noia.
Dopo un interessante dibattito, alla presenza anche di un ricercatore sostenitore di Trump, che mi ha fatto venire l’orticaria per le cose che diceva, ho posto una domanda ai relatori: vanno bene le teorie, le discussioni filosofiche, lo scervellarsi sulla definizione e la sua evoluzione storico-filosofica, ma nel concreto, quali sono le proposte, i consigli, le idee che potete consegnare a un attivista politico come me, che ogni giorno si confronta, nella vita di tutti i giorni, con questo fenomeno e le sue manifestazioni anche più banali?
Ovviamente hanno iniziato un po’ a darsi addosso, uno sull’altro, su chi diceva cosa, il tempo era poco e quindi non è stato possibile approfondire davvero bene la questione, ma tre sono i punti che sono emersi, come possibili consigli, o come analisi dell’esperienza recente e dunque, per lo meno come cose da evitare, e su cui, come già detto concordo al 100%.
1) rigettare completamente, come partiti socialdemocratici, o forze che vogliono contrastare estremismi e movimenti populisti (nell’accezione data da Müller, prendetevi il suo libro: what is Populism?) la stessa retorica dei populisti
Osservazione: sembra banale come affermazione, ed evidentemente lo è, ma è appunto il doverlo ribadire che ci fa capire quanto in basso, quanto inadeguate e dannose, sono le classi dirigenti che dovrebbero rappresentarci… Al momento. In altre parole: l’originale, boys and girls, è meglio della copia!
2) Fare opposizione in modo tale che emerga la distinzione di approccio e di comunicazione, discende direttamente dal punto uno, evitando di scendere in battibecchi o confrontazioni sulle forme e sui toni. Bisogna però essere duri e intransigenti quando emergono posizioni tali per cui valori e principi che ci rappresentano sono messi a rischio.
Osservazione: seconda nota che sembra banale ma non lo è. L’opposizione di per sé non offre nulla. Bisogna saperla fare. Con il linguaggio nostro, che deve, quindi, essere individuato e sviluppato. Rifiutare i battibecchi è un po’ come seguire il consiglio del buon vecchio Oscar: mai discutere con un imbecille, ti trascinda al suo livello e ti batte con l’esperienza. Ma, ma… Questo non significa né auto-censurarsi né tantomeno titubare davanti a quello che viene fatto, di grave ed eclatante, che confligge con i nostri ideali. Ma anche quando emergono teorie complottistiche, assurde, irrazionali. Bisogna essere l, pronti a controbattere.
3) Non escludere gli esclusi. In che senso? Su questo c’è da spendere due parole in più. La logica applicata spesso dai partiti tradizionali o dalle forze progressiste (o presunte tali) è quella dell’esclusione, dell’oscurare l’avversario. Si dice: il populista è brutto, cattivo. Ci ha aggrediti, ci ha offesi. Quindi, con lui non parliamo. Con lui non ci confrontiamo. Se è presente lui, me ne vado io. Ecco, da evitare, dice Müller, perché questo modo di fare rinforza il messaggio populista, la dimensione del vittimismo.
Osservazione: anche qua, è chiaro, che la strategia del non sedersi al tavolo e confrontarsi è un errore. Perché compito di una forza democratica e seria non è di distorcere i meccanismi della democrazia, ma applicarli, sempre. Con determinazione e forza. Il confronto è un elemento della democrazia ineludibile. Se il gioco è di chi esclude prima l’altro, i populisti allora, non solo avranno più facilità nel farlo, per deformazione professionale, diciamo così, ma ringrazieranno, perché avremmo dato loro esattamente il materiale che gli occorre per dire: avete visto, avevamo ragione noi.
Ed eccoci qua. Leggendo tutto questo, dopo quelle due ore di dibattito, mi sono tornate alla mente le tante volte che ho provato, dentro e fuori al PD, a dire che stavamo sbagliando, molto. Così come con la SPD. E tutt’ora, sembra proprio che il messaggio non sia arrivato. Ma come hanno detto oggi alla conferenza, siamo sempre in democrazia, ma per quanto? Sarà bene attrezzarci. E agire di coneguenza.

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