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Perché l’operazione Vittoria Dorata mette in Yemen in allarme le Nazioni Unite

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Si apre il secondo giorno per l’operazione “Vittoria dorata”, lanciata ieri dalla coalizione alleata guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti con l’obiettivo di liberare dalla presenza degli Houthi la strategica città portuale di Hodeida sul Mar Rosso. La battaglia di Hodeida è la più grande dall’inizio del conflitto ed è stata concepita per centrare tre obiettivi: impedire che i ribelli usino le strutture portuali per ricevere rifornimenti militari dall’Iran; garantire la sicurezza dei rilevanti flussi commerciali e petroliferi che passano per il Mar Rosso e che attualmente sono minacciati dai missili degli Houthi; sferrare un colpo micidiale ai ribelli costringendoli così a negoziare con gli alleati.

Per aggiudicarsi la vittoria, la coalizione ha trasferito sul fronte una forza di 21 mila uomini, che include truppe emiratine e sudanesi oltre a miliziani yemeniti, combattenti locali e un battaglione capitanato dal nipote dell’ex presidente dello Yemen Ali Abdullah Saleh, ucciso a dicembre dagli Houthi dopo che aveva cambiato campo passando dalla parte degli alleati.

Per tutta la giornata di ieri, gli aerei e le navi alleate hanno colpito le postazioni fortificate degli Houthi per aprire la strada alle truppe di terra ammassate a sud della città. Altri strike sono stati effettuati sulla strada che collega Hodeida alla capitale Sana’a, con l’intento di bloccare eventuali tentativi degli Houthi di portare rinforzi a Hodeida.

I primi scontri tra le forze rivali si sono registrati nella località rurale di al-Durayhmi, a 10 km a sud di Hodeida, e nei pressi dell’aeroporto. L’agenzia di stampa statale degli Emirati ha riferito che le forze attaccanti stanno cercando di “liberare le aree attorno all’aeroporto” e che, nello sforzo, hanno catturato o ucciso “dozzine” di miliziani Houthi. L’agenzia ha riportato anche il “martirio” di quattro soldati yemeniti.

La reazione degli Houthi sarebbe stata furiosa. Secondo due comandanti militari Houthi, una nave militare degli Emirati è stata centrata dai loro missili e sarebbe attualmente in fiamme al largo del porto. Altre fonti Houthi riferiscono di aver respinto un tentativo di sbarco da parte delle forze alleate nei pressi del porto. “La coalizione saudita non è avanzata per nulla a Hodeida”, ha detto alla tv libanese al-Mayadeen Dayfallah al-Shami, membro del comitato politico degli Houthi

Il portavoce della coalizione, colonnello Turki al-Malki, assicura che gli alleati non mirano a ingaggiare gli Houthi in combattimenti urbani, anche per evitare di provocare un numero elevato di vittime civili. Parlando alla tv al-Hadath, al-Malki ha detto che il loro obiettivo è assicurarsi il controllo del porto, dell’aeroporto e della strada che collega Hodeida a Sana’a, aggiungendo che l’operazione alleata rappresenta il primo passo per liberare il resto delle province della costa occidentale ancora in mano agli Houthi.

Il portavoce ha anche spiegato che le manovre alleate sono ostacolate dalle mine piazzate dagli Houthi. Mine che mettono a repentaglio il flusso di aiuti umanitari che passano per il porto. Il ministro degli esteri degli Emirati, Anwar Ganwash, è ricorso a Twitter per esortare la comunità internazionale a “fare pressioni sugli Houthi affinché evacuino Hodeida e lascino il porto intatto. Il loro uso di mine a terra e in mare dimostra un crudele e insensibile disprezzo delle vite yemenite”.

Al-Malki ha comunque precisato che la coalizione ha un “piano” per assicurare la continuità del flusso degli aiuti. Notizia confermata dal ministro emiratino Reem al Hashimy, secondo il quale la coalizione ha preparato un “piano completo e di ampia scala per la rapida consegna degli aiuti umanitari”.

Le rassicurazioni della coalizione non hanno però tranquillizzato la comunità internazionale. “Hodeida è assolutamente essenziale per preservare la vita” di milioni di yemeniti, ha dichiarato il coordinatore degli aiuti umanitari dell’Onu Mark Lowcock. “Se per qualsiasi periodo Hodeida non dovesse operare efficacemente”, ha aggiunto Lowcock, “le conseguenze, in termini umanitari, sarebbero catastrofiche”.

Le Nazioni Unite hanno fatto sapere che, pur avendo ordinato nel fine settimana l’evacuazione del personale umanitario, la consegna degli aiuti continuerà come prima. “Siamo lì e stiamo consegnando, non stiamo lasciando Hodeida”, ha detto a Reuters Lise Grande, un’altra coordinatrice umanitaria per l’Onu. “Abbiamo una nave che sta scaricando cibo anche sotto i colpi di mortaio e i bombardamenti. Gli operatori umanitari non scapperanno”, ha precisato Grande.

La preoccupazione per la sorte dei civili yemeniti, cronicamente dipendenti dagli aiuti umanitari, è condivisa anche dal ministro degli esteri britannico Boris Johnson, il quale ha fatto sapere di essere in contatto con gli ufficiali della coalizione e di averli esortati a esperire ogni tentativo perché “non si interrompano i flussi commerciali e umanitari attraverso il porto”. Si è fatto sentire anche l’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Unione Europea Federica Mogherini, la quale si è detta turbata per il “devastante” impatto dell’assalto alleato.

La diplomazia, frattanto, è al lavoro per evitare il peggio. Oggi si terrà una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la seconda in una settimana che affronta l’emergenza in Yemen. Continua anche la mediazione dell’inviato dell’Onu in Yemen Martin Griffiths, che ha riferito come le Nazioni Unite continuino a interloquire con le parti per evitare qualsiasi escalation. “Li esortiamo”, ha scritto Griffiths su Twitter, “a mostrare moderazione e a impegnarsi in sforzi politici per risparmiare a Hodeida” una quanto mai probabile catastrofe. Gli sforzi di Griffiths sono sostenuti, tra gli altri, dal ministro della Difesa Usa James Mattis, che li “appoggia fortemente” e si augura che possano “portare tutte le parti del conflitto al tavolo negoziale.”

Ma l’allarme e i moniti difficilmente fermeranno il tentativo della coalizione di espugnare Hodeida. L’ambasciatore saudita negli Usa, Khalid bin Salman, ha sottolineato su Twitter che l’offensiva si è resa necessaria “alla luce della crescente minaccia che le milizie Houthi sostenute dall’Iran pongono alla sicurezza marittima del Mar Rosso”. L’ambasciatore ha anche ricordato che gli Houthi usano il porto per “ricavare guadagni attraverso il saccheggio, l’estorsione, e la tassazione illegale imposta alle navi commerciali, con i quali finanziano la loro aggressione militare contro lo Yemen e i paesi vicini”.


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