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Phisikk du role – E ora… Arbore for president

È in pieno svolgimento la lotteria delle nomine governative. I bookmakers sono incertissimi sulle quotazioni anche perché con i nuovi maggiorenti della politica si cammina su terre incognite. A voler fare presagi e qualche scommessa sicura basterebbe, però, non allontanarsi dal mazzo dei burocrati e manager evergreen che hanno occupato la scena pubblica negli ultimi vent’anni: i governi passano ma il potere vero non cambia mai.

Alla fine della fiera ci ritroveremo a commentare le 540 nomine che comporranno il mosaico del potere pubblico nei prossimi lustri, dando l’impressione di celebrare il principio dello spoils system, ma in realtà santificando solo la solidità di una casta di hilander. In attesa di scommettere una pizza col direttore della testata intorno al gagliardissimo tema, mi permetto sommessamente di fare una piccola proposta.

Nel mucchio delle nomine c’è anche la Rai, che sarebbe ancora il servizio pubblico che fa televisione ed entra nelle case di tutti gli italiani (specialmente gli over 40) per informare, educare, divertire e tante altre belle cose ancora. C’è da nominare il nuovo cda, secondo le nuove regole, ma anche il direttore generale/amministratore delegato e il presidente. Fate come vi pare per tutto: per i consiglieri, che saranno eletti dal Parlamento, per il super manager a capo dell’azienda ma per quel che riguarda la figura del Presidente, che pure viene eletto nell’ambito del Cda, per favore fate un po’ più di attenzione. Sia chiaro: la riforma sposta tutti i poteri nelle mani dell’ad, lasciando al Presidente solo un ruolo di rappresentanza. E tuttavia quel ruolo può essere importante assai. Perché, invece di rappresentare il premio di consolazione nel mazzetto spartitorio, potrebbe essere usato come una finestra per riconnettere la Rai, cioè il servizio pubblico, al cittadino-utente che la paga e la sostiene senza manco potersi rifiutare di farlo.

Ci vorrebbe una faccia amica, di quelle che più di ogni altra incarnano il servizio pubblico per non essersi mai fatta trascinare nelle terre degli infedeli. Una faccia intelligente e riconoscibile, che si è fatta amare dal pubblico per le sue creazioni. Uno come Renzo Arbore, che ha praticato tutte le dimensioni della comunicazione Rai, dalla radio con cui ha insegnato agli italiani il rock e il rithm and blues quando ancora furoreggiava il gorgheggio sanremese, alla televisione dell’Altra Domenica, una spiazzante jam session di virtuosi dell’ironia, tutti giovanissimi e sconosciuti, che raccontò agli italiani la lunare e urticante toscanità di Benigni, l’eleganza di una giovanissima e bellissima Isabella Rossellini, gli straniamenti di Marenco, Bracardi ed Andy Luotto, la trasgressione en travesti delle Sorelle Bandiera. E ancora in tv: l’inarrivabile stagione di “Quelli della notte”, con l’esercito di geniali “situazionisti” in cui trovavi De Crescenzo e Nino Frassica, Riccardo Pazzaglia e Maurizio Ferrini, e mille altri ancora che avrebbero poi guadagnato ruoli da protagonisti della scena televisiva con la chiave dell’intelligenza mascherata da goliardia di provincia. Si può continuare a lungo: “Indietro tutta”, le ragazze Coccodè e le brasiliane scosciate del Cacao Meravigliao, uno “sponsorao”immaginario evocato per rappresentare il simbolo delle tv private che impazzavano trent’anni fa ( ragazze scosciate comprese), il jazz, la musica napoletana, Sanremo e il clarinetto, le tournée globali con la sua orchestra, Rai International, la sua vocazione di talent scout, le buone imprese solidali eccetera. Insomma un bel l’esempio di italiano, intelligente, garbato, non aggressivo, e creativo. Renzo Arbore: quando la categoria del “demenziale”, del “non senso” e del “kitsch” era un’operazione paragonabile allo sberleffo dei dadaisti o alle piece di Ionesco. Insomma: una sberla per mettere in moto le sinapsi degli spettatori e non la cifra inconsapevole di un’intera stagione politica. Come avviene invece oggi.


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