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Programmi spaziali e Brexit. Il difficile puzzle da ricomporre

Di Paolo Puri

Essere (con Uk), o non essere, questo è il problema. Scomodare Shakespeare per le attività spaziali potrebbe sembrare esagerato, ma il dilemma della Brexit pende come una spada di Damocle sui programmi dell’Unione europea. La Brexit è un’opportunità da cogliere o una minaccia da cui difendersi? La questione, lungi dall’essere meramente provocatoria, è centrale in questa fase di riassetto dello spazio e della sua governance a livello europeo.

Ad oggi, i programmi spaziali Galileo e Copernicus rappresentano i principali sistemi realizzati e gestiti dall’Ue. Oltre alla valenza intrinseca per i servizi che erogano ai cittadini, sono importanti perché rappresentano un banco di prova in visione di nuove future iniziative dell’Unione in altri ambiti, incluso il settore difesa e sicurezza. Lo spazio è quindi strategico perché potrà cross-fertilizzare le altre dimensioni dove l’Unione vuole crescere sia in investimenti, sia in ruolo. Per rendere esportabile il modello, il management dei programmi spaziali dovrà fornire risposte efficaci ai problemi più attuali, in primis quello del dialogo con il partner d’oltremanica. In questo quadro, il dilemma è posto: come fare sintesi tra la necessità di assicurare una governance e un controllo esclusivo dell’Ue sui propri programmi e, al contempo, riconoscere al Regno Unito un ruolo coerente con il contributo finora profuso in investimenti e conoscenze?

Una governance efficace è indispensabile per garantire che i sistemi abbiano ricadute positive sulla società, rimanendo aderenti alle esigenze degli utenti e costando il giusto. Per questo, l’Ue deve poter pianificare e gestire i propri programmi senza sottostare a condizionamenti né tanto meno a vincoli esterni. Se una governance più inclusiva verso il Regno Unito ne valorizzerebbe competenze e prassi, anche considerato che proprio Uk è il primo Paese europeo per “leva” tra investimenti pubblici e privati e creazione di servizi, d’altra parte, una governance esclusiva è indispensabile laddove occorre proteggere l’autonomia dell’Unione in questioni di particolare sensibilità, come il servizio pubblico regolamentato (Prs) di Galileo e i security services di Copernicus.

Peraltro, in chiave futura, la dimensione sicurezza è destinata a crescere ulteriormente con il possibile lancio di un programma legato alle comunicazioni governative via satellite (GovSatCom) e la crescita dell’iniziativa legata al monitoraggio delle minacce agli assetti in orbita (Ssa/Sst). Tutti aspetti ben noti a Bruxelles, dove governance e sicurezza “made in Ue” sono tenuti nella massima considerazione. Il contributo del Regno Unito ai programmi spaziali dell’Unione non si limita alla governance, ma è soprattutto di competenze, risorse umane e capacità tecnologiche. È notizia d’attualità come il governo britannico stia cercando di mettere in campo la massima pressione – anche mediatica – per ribadire l’importanza che Uk e le sue industrie non siano escluse dai programmi spaziali, in primis Galileo e Copernicus.

Le motivazioni addotte, oltre a puntare sul know how posseduto, riguardano il lato economico dell’impresa: Uk, per tramite del budget dell’Ue, ha finora partecipato per oltre un miliardo di euro al finanziamento dei programmi spaziali e, rimanendo a bordo, contribuirebbe alla sostenibilità delle iniziative. Argomentazioni convincenti anche per quei Paesi che hanno industrie nazionali che ambiscono a sostituire le omologhe britanniche, in considerazione del fatto che le risorse finanziarie oggi messe in campo dal Regno Unito dovrebbero altrimenti essere sostituite facendo ricorso ai restanti 27 Stati membri. “The devil is in the detail” recita un famoso adagio inglese.

E dettagli potrebbero apparire le implicazioni pratiche di un’eventuale uscita di scena del Regno Unito, come il prolungamento dei tempi e l’aumento dei costi, rispetto alle opportunità che la Brexit potrebbe offrire agli Stati e alle industrie che ambiscono a sostituirsi a Londra. Ma sono “dettagli” non trascurabili. Sul programma Galileo, le industrie britanniche hanno, nel tempo, acquisito un ruolo-chiave nella costruzione dei payload satellitari e del cuore pulsante del servizio Prs; estrometterle potrebbe comportare un ritardo ulteriore del programma, per il Prs, anche di anni, con un danno incalcolabile in termini d’immagine e credibilità, proprio nel momento in cui l’Ue sta negoziando con gli Stati Uniti l’accesso al servizio. Per Copernicus, il Regno Unito non solo contribuisce alle Sentinelle, ma ha investito più di tutti nello sviluppo dei servizi applicativi e occupa una posizione di primo piano nel settore strategico del monitoraggio del cambiamento climatico. Il programma Ssa/Sst, già oggi frenato in obiettivi e ambizioni dagli interessi nazionali e dalla scarsa attenzione dell’Ue, potrebbe essere ulteriormente penalizzato. Diverso il discorso per GovSatCom, un’iniziativa non ancora partita, che potrebbe quindi nascere direttamente senza Uk.

Ultimo aspetto, ma non certo per importanza, è la riduzione della competizione – già oggi limitata – nella fase di aggiudicazione delle commesse. Meno competizione può significare meno qualità, ma anche costi più elevati, a tutto discapito del tax payer europeo. Un dilemma – la Brexit – che difficilmente si potrà risolvere senza effetti collaterali. Dai 27 dell’Unione e da Londra si attende una soluzione coraggiosa, come potrebbe essere una partnership privilegiata che salvaguardi l’autonomia dell’Ue nella governance e nello sviluppo dei programmi – in particolare per gli aspetti più sensibili, ma al contempo consenta una partecipazione finanziaria, e quindi industriale, del Regno Unito su componenti non essenziali, sul downstream anche rilocando componenti delle proprie risorse industriali sul territorio dell’Unione.

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