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Elogio del contratto a termine

Di Sergio Pizzolante
Welfare lavoro giovani occupazione

Quali sono i Paesi europei dove c’è più occupazione? Quelli dove ci sono più contratti a termine. Quali sono i settori economici più dinamici e con più assunzioni? Quelli con più contratti a termine. Più precarietà uguale più occupazione? No, più flessibilità uguale più dinamicità, quindi, più occupazione. Sono i numeri che parlano. E bisognerebbe ascoltare i numeri, che non hanno un valore assoluto per affermare la verità, ma che possono avere un valore per svelare la post verità.

Come scrive il professor Marco Fortis della Fondazione Edison, su il Foglio, i contratti a termine in Italia sono fra i più bassi in Europa, in termini percentuali, 15,5%. La Francia 16,8, la Svezia 16,1, i Paesi Bassi 21,7, la Polonia e la Spagna, Paesi in crescita, 26,1 e 26,8. In valore assoluto, 4,7 milioni in Germania, 4,2 milioni in Spagna, 3,4 in Francia e 2,7 in Italia. È una tendenza che si ripete in quasi tutti i settori. Meno dove l’Italia è più dinamica, agricoltura e turismo. Dal 2008 al 20017 i contratti a termine in Italia sono cresciuti di 434mila unità, ma i 3/4 sono nei settori che ci hanno portato fuori dalla crisi, agricoltura, manifattura, alberghi e ristoranti. Siamo ultimi in Europa nel settore più statico, l’edilizia. Quindi non è vero che il contratto a termine è “sfruttamento”, figlio della staticità, della bassa qualità e della bassa crescita. È vero il contrario, dove c’è più dinamismo e crescita ci sono più contratti a termine. Dove c’è più mercato, c’è più ricchezza, ci sono più contratti di lavoro e più contratti a termine. È la legge dello sviluppo in questa epoca, con mercati flessibili e dinamiche industriali iper flessibili, se non hai un mercato del lavoro flessibile crei disoccupazione! E lavoro nero.

Bisogna avere il binocolo al contrario della vecchia sinistra del vecchio lavoro o non aver mai lavorato, per non capirlo. E non c’è alcuna Dignità che si possa affermare per decreto. Anzi, se, contemporaneamente, riduci la flessibilità del contratto a termine e appesantisci il costo del contratto a tempo indeterminato, produci meno lavoro. E non c’è dignità in questa operazione. Prima del job act i contratti a tempo indeterminato erano il 17 per cento del totale. Oggi, un contratto su due, dei nuovi assunti, è a tempo indeterminato! In Italia, il governo populista applica la regola opposta alla logica, se funziona cambiamo.

Di Maio sul lavoro, Salvini sul lavoro di Minniti. Le grandi trasformazioni dell’economia e del lavoro non stanno nella scatola dei giochi di Di Maio e Salvini. Il futuro è dei contratti a termine con rinnovi indeterminabili e dei contratti a tempo indeterminato, determinabili. Non si scappa. Ci sono due studi che mi ha segnalato un mio amico sociologo dello Iulm. Il primo dice che un ragazzo che è oggi al liceo, fra dieci anni farà un lavoro che non è stato ancora inventato! Il secondo studio afferma che un ragazzo o una ragazza, che nascono oggi, faranno, nella loro vita, 7 lavori diversi. Non sette posti di lavoro diversi, ma sette tipologie diverse di lavoro. Con i contratti alla Di Maio, si fermeranno al primo o, al massimo, al secondo. Poi buio. È la flessibilità bellezza! Senza non c’è lavoro.

Naturalmente tutto questo richiede una rivoluzione del Welfare. Se la vita di chi lavora è sottoposta a cambiamenti continui, occorrono politiche di Welfare capaci di governare i cambiamenti. Formazione continua, politiche attive molto dinamiche e innovative sull’incontro fra domanda e offerta e scuola e lavoro. Agenzie per l’impiego non solo statali e burocratiche (la strada di Di Maio) ma private. Imprese della creazione di lavoro. Un nuovo Welfare al servizio di un mercato più degno del decreto dignità.

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