“Dispiace vedere alcuni stimati pensatori liberali schierarsi contro il provvedimento di divieto di pubblicità all’azzardo contenuto nel cosiddetto Decreto Dignità”, si legge oggi nell’editoriale dell’economista Leonardo Becchetti su Avvenire. “Bene ha fatto dunque il ministro Tria a dare luce verde al provvedimento non trovandovi alcun nocumento per le casse pubbliche. In un’analisi costi-benefici l’azzardo è un danno e non un beneficio per la società. I quasi 10 miliardi di entrate fiscali per il gioco sono infatti controbilanciati dal 40% delle somme giocate che vanno in fumo e non si traducono in consumi con perdita di gettito fiscale, dai costi della ludopatia, dalla perdita di produttività delle persone che finiscono nel vortice del gioco, dalla perdita di investimento in capitale umano, di beni relazionali e di senso della vita di chi ne resta invischiato”, scrive ancora Becchetti (qui l’intervista di Becchetti a Formiche.net sul rapporto tra grillini e Chiesa cattolica).
In quello che a molti è parso quindi, in controluce, un sereno appoggio all’azione del governo giallo-verde (o giallo-blu, che dir si voglia), mettendo cioè in luce di favore l’atteggiamento del ministro Tria per mostrare in realtà un sostegno in piena regola all’operato del ministro del Lavoro Luigi Di Maio, che, più che con il bacio alla teca di San Gennaro, è stato con il provvedimento contro il gioco d’azzardo che pare essere riuscito a rendere più che soddisfatta una buona parte del mondo cattolico, che da lungo tempo porta avanti dure battaglie su questo tema. Scorrendo le pagine del quotidiano, le immagini in bella vista del ministro Di Maio appaiono a più riprese, dal tema della Terra dei fuochi alle tensioni con la Lega dovute proprio al cosiddetto decreto dignità. Lo stesso ragionamento si potrebbe replicare a proposito del tema del lavoro domenicale, su cui Di Maio promette una stretta rispetto alle liberalizzazioni del decreto Monti, e su cui non solo si sono pronunciate di recente diverse personalità della Chiesa e del Vaticano – per fare qualche nome, il presidente della Cei Bassetti, il cardinale austriaco vicinissimo a Papa Francesco Schonborn, oppure monsignor Gianpaolo Crepaldi, presidente dell’Osservatorio Internazionale Van Thuan sulla dottrina sociale della Chiesa – ma che più volte aveva trovato concordia nel rigido appello, dalle pagine di Avvenire, del suo direttore Marco Tarquinio.
D’altronde, era stato lo stesso giornalista assisano ad ammettere tempo prima, sulle pagine del Corriere della Sera, che nonostante il realismo e le possibili divergenze, sono anche molte le sensibilità in comune del mondo cattolico con il Movimento 5 stelle. Intervista arrivata dopo quella concessa da Beppe Grillo allo stesso quotidiano della Cei.
Ed è forse anche per questo che più volte lo stesso Di Maio, durante la campagna elettorale, aveva cercato di utilizzare il termine “bene comune” per toccare la sensibilità di quei cattolici in linea con le posizioni della Dottrina sociale della Chiesa e quindi anche amanti della predicazione di Papa Francesco, arrivando persino a scomodare la figura di Alcide De Gasperi. Subito dopo l’apertura del caso Aquarius era invece al contrario sembrata scoppiare una vera e propria guerra aperta tra la Chiesa di Papa Francesco e il nuovo governo, principalmente però nella figura di Matteo Salvini, che tuttavia non evita di incontrare e di amoreggiare felicemente con esponenti della Chiesa e del mondo vaticano, come dimostrano le varie foto che vedono il titolare del Viminale stringere la mano a quello che è da molti visto come capo dell’opposizione al pontefice argentino, il cardinale Raymond Leo Burke. Stessa cosa per altre figure chiave della Lega, uno su tutti il ministro per la Famiglia e la Disabilità Stefano Fontana, molto vicino al popolo del Family Day. Il pugno di ferro utilizzato dalla Lega sulle politiche migratorie aveva infatti subito fatto scomodare alti prelati come il cardinale Gianfranco Ravasi su Twitter, il cardinale di Agrigento Francesco Montenegro o lo stesso presidente della Cei Bassetti. Seppure, in particolare quest’ultimo, con toni del tutto equilibrati. Quasi accennando, talvolta, a piccole aperture di credito verso l’universo leghista.
Più sferzante la posizioni del quotidiano della Cei Avvenire sul caso, che in quei giorni parlava di “Italia in ostaggio”. La posizione di Salvini però su questi temi è sempre stata chiara e irremovibile. Sarà forse per questo che buona parte del mondo cattolico sembra andare molto più d’accordo il ministro del lavoro Luigi Di Maio, nonostante le simbologie cristiane ampiamente utilizzate da Salvini, una su tutti il rosario spesso tenuto in mano. Intesa sottolineata dai vari endorsement registrati nel tempo, come quello del responsabile della commissione episcopale per i problemi sociali e per il lavoro della Cei, monsignor Filippo Santoro, che al QN aveva registrato il “desiderio di cambiamento” dell’elettorato.
Diverso invece il rapporto con l’ormai ex segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, oggi spostato all’Apsa, la tesoreria vaticana. Galantino infatti, dopo l’intervista di Tarquinio al Corriere, operò quella che era apparsa quasi come una sorta di smentita, pochi giorni dopo e sempre sul Corsera. “Niente sconti a Grillo”, replicava Galantino a Massimo Franco. Mentre l’anno prima lo stesso Grillo, con il tono sospeso tra serio e faceto che si addice al comico genovese, sosteneva come fosse “naturale per un cattolico riconoscersi nel programma del MoVimento 5 Stelle”. E pronta arrivò anche, sempre dopo l’intervista di Grillo al quotidiano della Cei, la stroncata del settimanale dei Paolini Famiglia Cristiana. Ancora più serrato invece appare il rapporto del nuovo governo con la Comunità di Sant’Egidio, specialmente dopo l’intervista concessa dal suo fondatore Andrea Riccardi a L’Espresso, in cui lo storico affermava: “Se i cattolici hanno votato M5S e Lega, significa che la Chiesa ha perso”.