Skip to main content

Il patrimonio apostolico da dismettere e il coraggio di ricostruire. Parlano Galantino e Ravasi

patrimonio

“Devo innanzitutto rendermi conto di ciò che esiste, e di ciò che si vive, per poter fare quello che tutti quanti vengono chiamati a fare nella Chiesa, cioè rendere sempre più chiare le finalità con le quali dobbiamo agire e verso le quali dobbiamo orientarci. Ed orientare anche i nostri beni”. Ufficialmente monsignor Nunzio Galantino è ancora segretario della Cei, ma è difficile per i giornalisti che lo interpellano non parlare del ruolo di presidente dell’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, che ricoprirà a partire da settembre. L’occasione dell’uscita pubblica è quella della conferenza stampa relativa all’evento organizzato per la fine del prossimo novembre, il 29 e il 30, dal Cortile dei Gentili sul tema della dismissione di luoghi di culto e dei beni culturali ecclesiastici e intitolato: “Dio non abita più qui?”.

IL TEMA DEI BENI ECCLESIASTICI

“Il tema dei beni ecclesiastici e della loro dismissione è molto sentito nella Chiesa italiana, e se non lo sentiamo noi ce lo fanno sentire le tante richieste di valorizzazione da parte dei cittadini, anche le più strane, che ci vengono proposte riguardo a edifici sacri non più utilizzati per la liturgia”, ha infatti spiegato il nuovo capo della tesoreria Vaticana. Già nel lontano 1987, infatti, l’allora Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia poneva a tema la questione, focalizzandosi ad esempio sulle requisizioni avvenute in seguito all’Unità d’Italia. Oggi, il problema delle dismissioni degli edifici di culto ha acquistato proporzioni più ampie, specialmente in alcuni Paesi ad esempio del Nord-Europa, come Belgio, Olanda, Francia e Germania, ma allo stesso modo anche in Italia esiste un tema analogo, ed interesse tanto la Chiesa cattolica quanto quelle protestanti.

LE PAROLE DI MONSIGNOR GALANTINO

“Che la Chiesa italiana abbia interesse su questo argomento lo dice l’impegno che da anni la Cei mette in atto, con il censimento delle Chiese di proprietà delle parrocchie, che solo queste ammontano a circa 65 mila, escludendo le chiese di istituti religiosi o di altre realtà, come demanio, regioni o comuni”, ha affermato il presule. In totale, attualmente, esistono circa centomila edifici ecclesiastici sparsi per il Belpaese, comprese cioè le chiese non censite di proprietà di parrocchie e diocesi, istituti di vita consacrata, ordini religiosi, confraternite, privati, Fondo edifici di culto, demanio, regioni e comuni. Molte delle quali dislocate nei posti più impensati e suggestivi d’Italia. Tra queste però, per quanto riguarda le cifre sugli edifici destinati alla dismissione non sono ancora state fatte indagini sistematiche.

LE CAUSE DELLA PROBLEMATICA

Sulle cause che stanno alla base di questa problematica, Galantino spiega che si incrociano quattro diverse dimensioni. Il cambiamento dei contesti geografici, come ad esempio per i “territori in cui erano ubicate le chiese più belle ma che oggi sono disabitate”. I problemi di natura economica, visto che “con la crisi c’è meno disponibilità di fondi pubblici”. Però c’è anche, inevitabilmente, “il rimando della frequenza religiosa, che è diminuita e che quindi non giustificherebbe più la presenza di queste chiese, molte delle quali costruite nelle periferie”. Contrazione cioè delle comunità cristiane, abbandono della pratica religiosa, riduzione del clero, una situazione di vera emergenza. Infine, il tema della attività pastorali e delle diocesi ridotte, oltre che il sopravvenire di eventi eccezionali che ampliano criticità e problemi, come ad esempio il terremoto. “Negli ultimi due terremoti sono state danneggiate oltre tremila chiese, alcune piccole ma veramente pregevoli, in luoghi che custodivano storie importanti”, ricorda il presule.

IL PATRIMONIO ECCLESIASTICO: UN PESO?

“Tutto questo patrimonio oggi, è inutile nasconderlo, viene percepito come un peso”, ha aggiunto il religioso. Realtà che riguarda anche i casi in cui gli edifici appartengono alle diocesi o alle parrocchie, dove è più facile mantenerle in uso o curarle. Altrimenti, al massimo, ci sono privati. “I vescovi italiani già dal ‘92 davano indicazioni operative per le chiese in disuso”, che spesso significa “destinarle ad attività diverse da quella pastorale”, ha spiegato Galantino. Ma “come vescovi italiani il problema non è soltanto di natura culturale ma valoriale e pastorale”.

L’INTERVENTO DEL CARDINALE RAVASI

Su questo tema “abbiamo visto una reazione di interesse straordinario”, ha proseguito il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, il Cardinale Gianfranco Ravasi. “C’è una trasversalità su questo tema di tipo cronologico, perché la questione per esempio delle requisizioni è stata sempre una componente della storia, basta pensare a Napoleone o al fatto che in Italia ci sono Chiese di grandissimo rilievo, come Santa Maria degli Angeli a Termini o la Basilica della Santa Croce a Firenze, di proprietà del Patrimonio del Fondo edifici di culto del Ministero dell’Interno. C’è trasversalità dal punto di vista spaziale, perché non solo l’Europa ha questi problemi ma anche ad esempio Usa, Australia, Canada, ma vale però anche per paesi che hanno edifici recenti come l’India, da cui spesso sono motivo di uscita dal degrado”.

LA TRASVERSALITÀ DELL’ARGOMENTO

È poi “trasversale dal punto di vista socio-culturale, in quanto si tratta di uno degli specchi del declino della pratica religiosa, della secolarizzazione, di quello che io chiamo apateismo, che è il declino anche del clero”. Infine “è traversale a livello disciplinare, perché sono coinvolti molti soggetti, pensiamo al diritto e alle questioni giuridiche connesse, all’arte e al patrimonio culturale di un Paese e della Chiesa, e alla società stessa, come quando comitati protestano per alienazioni o dismissioni, che assumono quasi come vessillo un luogo sacro destinato a una funzione”. Il tema è rilevante per l’Italia, ha proseguito Ravasi, “perché in questo ambito è alfiere, per grandezza del suo patrimonio”. Da questo contesto, a fine mese ne uscirà un documento, che sarà inviato a tutte le conferenze episcopali, in cui verranno indicate delle “linee guida”, con l’idea non tanto di “stabilire se e quando dismettere, quanto dimostrare la necessità di una programmazione a lungo termine coinvolgente la comunità e della ricerca di un’intesa con le autorità civili per la pianificazione tanto delle nuove costruzioni quanto delle dismissioni”, si legge nel comunicato.

IL CORAGGIO DI RICOSTRUIRE

“Penso che al di là dell’apparente specificità si tratta di un fenomeno culturale ma anche pastorale di grande rilievo, che ha a che fare col problema della secolarizzazione: si vede nei parroci che si trovano in imbarazzo e non sanno che fare con gli immobili in disuso, dando origine a gelaterie o anche peggio”, ha spiegato Ravasi. Che ha anche raccontato dei casi più vari, come quello in Repubblica Ceca, dove una chiesa è stata trasformata in un night club. “Noi del Cortile dei gentili abbiamo invece il coraggio di partecipare alla costruzione di nuove chiese costruite da dieci architetti di tutto il mondo, con sensibilità diverse, come nel caso della prossima Biennale di Venezia”. Che ritornino cioè “a creare sensibilità su questo grande valore che ha il simbolo spaziale sacro”, ha concluso il religioso. “Mircea Eliade diceva che quando l’umanità esce dalla caverna e cerca di organizzare il suo spazio, lo fa creando un centro dove normalmente rientra la divinità. Questo porta a ritrovare la geometria dello spirito nelle categorie fondamentali umane”.



×

Iscriviti alla newsletter