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Il parlamentino sindacale contro l’obbligo dell’alternanza a scuola

Nessuno glielo aveva chiesto, ma il Consiglio superiore della pubblica istruzione (Cspi, organismo controllato da sindacati e amministrazione) l’altro ieri, mercoledì 25 luglio, ha approvato, con il solo voto astenuto del rappresentante dei dirigenti scolastici dell’Anp, un parere autonomo per togliere l’obbligatorietà dell’alternanza scuola-lavoro (Asl) introdotta dalla legge 107/2015 per tutti gli indirizzi di studio del secondo ciclo.

Staremo a vedere quanta accoglienza avrà questo parere nel Parlamento; ma già il ministro Bussetti durante e dopo l’audizione formale in Parlamento aveva messo le mani avanti, dichiarando l’intenzione di rivedere modalità e organizzazione dell’Asl.

Con questo atto non solo continua la marcia sindacale per disfare la Buona Scuola (marcia iniziata con l’abolizione della chiamata diretta dei docenti di ruolo da parte dei dirigenti scolastici), ma si spinge a smantellare l’unica vera innovazione metodologico-didattica introdotta negli ultimi tre decenni nella scuola superiore, innovazione fondamentale per la qualità formativa dei nostri giovani. Se la politica (come pare purtroppo possibile con questa maggioranza incline a scelte di pura propaganda elettorale) darà retta a questo parere verrà rafforzata la tendenza conservativa del mondo scolastico italiano contro l’impegno di tanti per l’innovazione e le riforme.

Tre aspetti colpiscono in questa delibera estiva.

  1. Il primo è la maggioranza bulgara del parere: un unanimismo che ha coinvolto sindacati, amministrazione e associazioni professionali, utilizzando, per giungere al voto, argomentazioni che non è difficile definire pretestuose e estremamente fragili. Nella sostanza sia le audizioni utilizzate dalla commissione che ha preparato il testo, sia le stesse motivazioni inserite nella versione finale hanno usato un meccanismo psicologico che non è esagerato definire subdolo: trasformare gli ostacoli ed i problemi reali che l’innovazione ha vissuto, soprattutto nei licei (i più contrari alla riforma), in accuse e impedimenti. Il gioco è ingiusto: come se ostacoli e problemi fossero esclusivamente il frutto della legge e non anche una serie di cause che ne hanno ostacolato l’attuazione.
  2. Il secondo è l’assenza di dati reali, sostituiti da “percezioni soggettive e posizioni ideologiche” (Anp). Gli stessi membri delle Commissioni che hanno preparato il testo hanno dovuto riconoscere che “non sono ancora disponibili dati quantitativi completi e non sono state ancora condotte valutazioni o analisi sulla qualità complessiva e specifica delle esperienze di alternanza scuola-lavoro realizzate nell’ultimo triennio”. Vada per tutti la citazione dell’audizione del presidente dell’Indire che correttamente ha presentato un “progetto di monitoraggio” dell’Asl da attuare.
  3. Ma credo che l’aspetto più ingiusto sia l’aver di fatto gravemente emarginato tutto il lavoro di docenti, dirigenti e alunni che hanno progettato e realizzato, nonostante gli ostacoli e i problemi, esperienze vive e di grande valore innovativo e formativo.

Insomma: invece di elaborare — a fronte di difficoltà ed esperienze negative — proposte serie di verifica, controllo, supporto formativo ed economico per sostenere le scuole nella progettazione e realizzazione dell’Asl si è scelto, con le solite involute circonlocuzioni, di spingere il sistema a privare i nostri studenti di un’importante opportunità per la loro formazione non solo al lavoro, ma soprattutto alla vita attiva, quella che si svolge fuori dalle mura delle aule, quella che esige una serie di competenze indispensabili al nostro tempo.

Il parere sostiene poi che l’Asl sarebbe stata introdotta “repentinamente”, senza “un’accurata riflessione sul tema del lavoro e del rapporto tra scuola e lavoro” dimenticando volutamente che a monte vi sono stati non solo la lunga esperienza degli istituti tecnici e professionali, il decennale dibattito sulle gravi carenze sistemiche in questo campo rispetto a tanti paesi europei, ma fior di documenti internazionali e impegni comunitari come ad esempio l’Agenda 2030 dell’Onu, la Raccomandazione del Consiglio Europeo sulle competenze chiave di cittadinanza.

Per condiscendenza poi il documento si ricorda della vastità della disoccupazione giovanile in Italia, ma (è la beffa) la utilizza solo per individuarla come “motivazione” usata strumentalmente dal Governo per far passare la riforma!

Eliminare l’obbligatorietà dell’Asl, tra l’altro in tutti gli indirizzi di studio e non solo nei licei (come pareva fosse inizialmente orientata la Commissione), vuol dire riconoscere che questa metodologia non appartiene al curricolo essenziale di una formazione alla vita e rinchiudere di nuovo le scuole all’interno delle proprie mura.

La stessa soluzione che taluni avevano ipotizzato durante il dibattito di sostituire l’obbligo con una serie di incentivi scaturiva dalla rassegnazione di fronte ad un muro di opposizione, che si respira sotto le premesse e le  conclusioni del testo e che non fa che dare eco istituzionale ai moti di piazza che dopo il 2015 hanno attaccato l’Asl con le più vetuste e ottocentesche accuse di “sfruttamento minorile” dello “studente lavoratore” (definizione riportata dallo stesso testo).

Usando abbondantemente in modo surrettizio e scorretto anche frasi e concetti di molti degli esperti auditi, la soluzione proposta dai sindacalisti giunge all’opposto delle loro intenzioni e dichiarazioni: togliamo l’obbligatorietà del monte ore (che sarebbe la causa dei mali!), lasciamo il tutto “alla autonomia delle scuole” (in questo caso torna utile!) e mettiamo “a disposizione” dei docenti l’Asl. E’ la classica interpretazione secolare della “libertà di insegnamento” dove ognuno fa quello che vuole. Un vero capolavoro all’italiana.

 

 



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