“Nel percorso di crescita dei populismi, in Italia e in Europa, l’ultima tappa è la crisi dei migranti: elemento chiave, specialmente per l’Italia, che si è sentita giustamente isolata. Credo che la Francia abbia una responsabilità enorme, iniziata con Hollande e proseguita con la politica di Emmanuel Macron, nell’aver nutrito questo risentimento pubblico. Che è poi stata sfruttato da esponenti politici, come quelli della Lega, che hanno messo nella stessa categoria problemi diversi, semplificando il sentimento di paura. E così i populisti sono cresciuti dappertutto”. Sono le parole pronunciate dal sociologo francese Marc Lazar, saggista e docente della Sciences Po di Parigi, durante la presentazione, presso la Società Dante Alighieri di Roma, del libro scritto a quattro mani con il sociologo Ilvo Diamanti per la collana Tempi Nuovi edita da Laterza “Popolocrazia. La metamorfosi delle nostre democrazie”.
LA QUESTIONE ISLAMICA E LA CRISI SOCIALE
Nelle altre tappe di questo percorso, ha così spiegato Lazar, c’è da considerare con grande rilevanza la questione islamica, “un’ossessione pubblica” nata a partire dall’11 settembre, ma anche la crisi economico-sociale. “Non abbiamo abbastanza insistito sull’impatto enorme della crisi finanziaria in Italia, che è poi diventata sociale, o sul tema della povertà, e oggi si parla di cinque milioni di poveri in seguito ai duri anni di recessione, che hanno portato l’Italia a un Pil ormai inferiore alla Spagna. L’Italia ha sofferto enormemente di questa crisi e i partiti di sinistra non lo hanno percepito”.
NASCITA E CARATTERISTICHE DELLA POPOLOCRAZIA
Se nell’800 infatti le democrazie erano dei partiti e nel ‘900 dei parlamenti, ha spiegato il sociologo, oggi “siamo in una nuova fase dove i partiti non hanno lo stesso impatto”, perché “le culture politiche tradizionali sono in pieno declino, gli elettori sono più liberi e ciò che conta è il leader, che all’epoca veniva creato nella televisione mentre oggi parla direttamente al popolo superamento i corpi intermediari”, dando vita a “una democrazia del pubblico”. Una fase storica indicata come “popolocrazia”, termine coniato nello specifico dall’altro autore del libro, il politologo Ilvo Diamanti, e che indica il fatto che i partiti abbiano imposto un proprio “stile politico” permeato continuamente di “temporalità ed emergenza”, e che di questi “la forma di organizzazione più innovativa è quella dei Cinque stelle, che prevede orizzontalità della rete e verticalità del leader, Casaleggio o Di Maio”, e che “non è più democrazia ma affermazione del popolo sovrano senza limiti”, ovvero la “rivoluzione del digitale”. Attraverso le reti sociali infatti, ha spiegato il sociologo, “la comunicazione non è più verticale, o top-down, ma bottom-up, viene dal basso e va verso l’alto: un cambiamento totale del rapporto tra cittadini e politica”, che “ha un impatto enorme, in quanto tutti possono intervenire su tutto. È il trionfo della volontà generale di Rousseau”. Ma “la ragione per cui parliamo di popolocrazia rimane il limite dello stato di diritto e della democrazia rappresentativa”.
L’IDENTIFICAZIONE DI UN POPOLO, NELLA PLEBE O NEL CITTADINO ATTIVO
Populismi le cui caratteristiche, per Lazar, sono rintracciabili nell’identificazione “totale e completa di un popolo” e nell’opposizione tra “un popolo unito e una classe dirigente altrettanto unita”, in una visione “dicotomica” della politica in cui “non ci sono problemi complessi, ma solo soluzioni molto semplici da applicare”. La “parola popolo è decisiva e significa potere senza limite del popolo: l’unica possibilità è perciò di avere la democrazia diretta, unico modo di affermare la dimensione del popolo sovrano”, ha affermato il saggista francese. Queste però hanno tra loro differenze: “alcuni pensano alla plebe, alla gente comune, facendo nascere il qualunquismo. Altri pensano al populus, nel senso del cittadino attivo della repubblica romana o della concezione giacobina, e a volte possono essere presi insieme. Mélenchon parlava alla “gente” ma diceva di avere bisogno di un popolo attivo, filone di pensiero che risale alla rivoluzione francese”. Ma c’è anche una continuità nelle varie forme di “neo-populismi”: “tradizionalmente i populismi erano contro la democrazia e dicevano di volere un regime autoritario, oggi nella parte ovest dell’Europa non si presentano più come ostili alla democrazia ma come i loro più forti difensori, e dicono di non avere paura del popolo ma di proporre la democrazia diretta”.
LA TRADIZIONE ABBANDONATA DA MARINE LE PEN E IL POPULISMO POLITICO DI MACRON
Ad esempio Marine Le Pen, ha spiegato Lazar, “è uscita dalla tradizione della destra francese, non va in strada a protestare contro il Marriage pour tous, perché il suo elettorato se ne infischia: è il primo partito tra i giovani, gli operai e gli impiegati, e lei si propone come donna moderna e divorziata, dicendo che l’islam minaccia le conquiste delle donne. In questo c’è un’abilità politica dei populismi”. Macron invece “non è populista, ma per vincere le elezioni ha operato una critica terribile dei partiti politici, come nel suo libro “Rivoluzione” in cui affermava di essere un outsider e antisistema, nonostante il suo percorso formativo e la sua carriera istituzionale totalmente dentro il sistema. A domande, rispondeva che il suo è un populismo politico”.
LA CRISI DELLA SINISTRA E LA MORTE DEI PARTITI TRADIZIONALI
Di fronte alle crisi poi, è noto, si dice sempre che c’è una grande responsabilità della sinistra, e questo “sicuramente è vero”, spiega Lazar. “Ma oggi tutto ciò è alle nostre spalle, perché non è solo la crisi della sinistra in Europa, ma anche della destra, in tutti i paesi. Guardate Fi, il Pp spagnolo, la Cdu-Csu in Germania, i Tories divisi sulla Brexit, la destra francese. Sono i partiti tradizionali ad essere in crisi, perché incapaci di rispondere alle diverse aspettative della gente sul piano politico e sociale. Se guardiamo i dati a livello europeo vediamo che il populismo non è legato solamente alla difficoltà economica e sociale: in Repubblica Ceca l’occupazione è al massimo come anche il populismo. È legato all’Ue? No, se vediamo che Svizzera e Norvegia hanno grandi componenti populiste al loro interno”. C’è perciò “una multifattorialialità delle cause”, legata alla “dimensione di sfiducia verso la politica, e soprattutto al problema dell’immigrazione, che va affrontato e studiato. C’è inquietudine della presenza dell’immigrazione, di altre religioni, in un contesto di declino demografico in cui c’è la paura di perdere qualcosa”.
LA TRASFORMAZIONE DELL’EUROPA
Tutto ciò ha portato l’Europa ad essere “totalmente trasformata”, c’è “una forma di inquietudine specialmente nei ceti popolari”. Mentre “l’elettorato di Macron è di alto livello di reddito e di istruzione, lì i ceti popolari non esistono”. Se allarghiamo il ragionamento, “abbiamo una frattura sociale e culturale che vediamo in Italia, in Francia e in Europa, specialmente tra ciò che rimane dei partiti tradizionali, la cui mancanza di cambiamento sarà la loro morte”.
LE METAMORFOSI DEL POPULISMO, L’INTERVENTO DI ANDREA RICCARDI
Il populismo è una realtà con “tante metamorfosi, il che indica un processo sicuramente non concluso, né in Italia né in Francia”, ha poi proseguito il dibattito il presidente della Società Dante Alighieri, Andrea Riccardi. “Anche in Macron esiste una dinamica populista, che in Italia è stata proposta con una maggiore cultura politica nel marxismo”, o in altri momenti, tanto nel “mussolinismo” quanto in “Mani pulite”, che “arriva fino a Lega e Cinque stelle” ma che “non si spiega solo attraverso le vicende dei partiti politici”. “Questa età per me è caratterizzata da tanti fatti, ma da uno principale, la paura della storia. Oggi è la nostra condizione, che non esorcizziamo con alcuna rappresentazione del futuro, di fronte a cui siamo tutti più soli. È il declino dei grandi noi del nostro continente: partiti politici, sindacati, comunità locali, Chiesa e chiese, un declino che si radica nelle periferie”. La paura della storia è anche la “denatalità europea, e una società abitata dalla sfiducia e dalle solitudini in cui si diffonde la condizione del diffuso vittimismo con il suo fascino incendiario”. In Italia infatti “la tradizione populista è antica come il Paese, e quando sento parlare i politici populisti sento teatralità”.
IL POPULISMO DI RENZI E DI SALVINI E LA RILEVANZA EUROPEA NEL MONDO
Nel populismo poi, per Riccardi, rientra “anche Renzi, perché il linguaggio renziano della rottamazione è uguale a quello del dégagisme francese, ma la rottamazione non funziona se Casini diventa un interlocutore. A forza di esaltare nei ragazzi la competizione, quella sana si è trasformata in invidia sociale, e la sinistra ha perso il contatto con le ansie e le angosce delle persone”. Mentre “la politica del vicepremier Salvini si presta in modo molto interessante allo studio, perché è una politica di lotta e di governo”, ha concluso Riccardi. “Loro o si trasformeranno o trasformeranno la democrazia”, ha aggiunto. La “vera difficoltà però è stata nel gestire il mondo globale. Questa Europa populista è decaduta perché nel mondo non conta niente”.