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La guerra dei dazi e il rilancio della Doha development agenda

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Ormai sono in corso guerriglie commerciali – che minacciano di diventare guerre – e mettere a repentaglio lo sviluppo dell’economia internazionale. Hanno radici che vengono da lontano e non sempre chiare. L’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) e l’accordo generale sulle tariffe e sul commercio (Gatt) che l’ha preceduta per diversi decenni, si basano sul principio della non discriminazione, ossia la clausola della nazione più favorita, in base alla quale qualsiasi concessione commerciale uno Stato fa a un altro si estende automaticamente a tutte le nazioni che hanno contratto l’accordo e fanno parte dell’organizzazione. Il secondo cardine è il principio della reciprocità: “A” fa concessioni a “B” in quanto anche “B” fa concessioni di pari portata ad “A”.

Agli inizi le concessioni erano prodotto per prodotto, ossia voce per voce della tariffa doganale. La creazione della Cee creò una forte controversia perché il futuro mercato comune sarebbe necessariamente stato discriminatorio: venne autorizzato perché si dimostrò che avrebbe creato più commercio di quello che avrebbe distorto. Con il Kennedy Round degli anni Settanta si passò, su proposta degli Stati Uniti, a riduzioni lineari per intere categorie merceologiche, negoziando in effetti solamente le eccezioni. Sempre negli anni Sessanta sono state introdotte deroghe per favorire le nazioni a basso reddito e dare alle loro merci l’opportunità di avere accesso ai mercati delle nazioni ad alto reddito, senza che, di converso, i loro mercati, e le loro industrie nascenti, venissero inondati da importazioni dai Paesi sviluppati.

L’Omc ha articolato queste regole in modo completo e ha sviluppato un corpo giuridico coerente e coesivo, un vero e proprio codice con un ramo arbitrario e uno giurisdizionale. Tuttavia, il Gatt, e in gran misura anche l’Omc, sono principalmente il frutto di un mondo in cui le dialettiche commerciali erano essenzialmente tra le due sponde dell’Atlantico. Riflettono, quindi, un mondo in cui erano principalmente Usa e Ue i due maggiori contendenti sui mercati mondiali, due grandi economie di mercato. Le deroghe per i Paesi poveri riguardavano una frazione poco significativa del commercio mondiale.

Dagli ultimi lustri del secolo scorso la situazione del commercio mondiale è drasticamente cambiata a ragione di due fenomeni: l’emergere di nuovi protagonisti sulla scena commerciale mondiale (India, Cina, Brasile, Russia) e il nascere di grandi mercati comuni, dal Nafta al Mercosur. Quindi, il mondo del commercio internazionale è fortemente cambiato e diventato molto più complesso. La politica della presidenza Trump può essere vista o come mero protezionismo, peraltro piuttosto estemporaneo e contraddittorio, o come uno strumento forse un po’ goffo per buttare un sasso nello stagno e rilanciare la Doha development agenda (grande negoziato promosso dall’Omc, iniziato nel 2001 e interrotto, non chiuso, nel 2015) oppure ancora come un bersaglio che mira ad altri obiettivi.

Singolare il conflitto con la Cina: l’import americano dal Celeste impero è pari ad appena l’1% del Pil Usa, mentre le esportazioni degli Stati Uniti alla volta della Cina sono pari al 4% del Pil di quest’ultima. In questo caso è chiaro che lo scopo non è l’accesso al mercato cinese, ma un mezzo di pressione nei confronti della pirateria in materia di brevetti e proprietà intellettuale. Tutti coloro di buona volontà e in posizione di poter incidere, dovrebbero auspicare un rilancio della Doha development agenda per adattare le regole del commercio mondiale alla nuova situazione.

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