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Il governo fa bene a puntare sulla Libia. Il generale Arpino spiega perché

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“Una politica organica, corretta nei modi e nei tempi, anche in risposta ad analoghe iniziative francesi”. Così Mario Arpino, generale dell’Aeronautica militare e già capo di Stato maggiore della Difesa, descrive la due-giorni del ministro Elisabetta Trenta in Tunisia e Libia. Tra “la storica competizione” con la Francia e l’esigenza di stabilizzare l’area del nord Africa, abbiamo chiesto al generale di commentare il viaggio “a sorpresa” della titolare del dicastero di via XX settembre, che fa seguito alle recenti visite dei ministri di Interno ed Esteri, Matteo Salvini ed Enzo Moavero Milanesi. In sintesi, il governo sta dimostrando di muoversi in modo “organico e sistematico”.

Generale, come interpreta la strategia del ministro Trenta, che ieri era in Tunisia e oggi in Libia?

Ritengo che queste visite siano molto importanti, anche perché stanno riprendendo la politica del precedente ministro dell’Interno, Marco Minniti. Al di là di grida e sussurri, la politica resta tutto sommano la stessa, e anzi sembra essere stata ripresa in modo anche più organico. Quella del ministro Trenta non è l’unica visita in Libia, e spero che lei stessa vada anche in Egitto (come ha fatto di recente Salvini e farà prossimamente Moavero Milanesi, ndr). Mi sembra la giusta risposta, con tempi immediati, ad analoghe azioni portate avanti dai francesi, i quali stanno perseverando nel tentativo di furto delle iniziative dell’Italia in nord Africa, ma d’altronde non si tratta di politiche nuove. Ad ogni modo, tornando alla sua domanda e a prescindere dalla Francia, mi sembra un’iniziativa corretta nei tempi e nei modi.

Dunque, secondo lei si può parlare di una vera e propria competizione tra Italia e Francia per acquisire influenza sulla Libia?

Purtroppo sì. E questo, come sta già succedendo, finirà per precludere o rallentare tutto il processo di distensione nell’area del Mediterraneo tra Roma e Parigi. Dietro c’è la lotta tra Eni e Total, insieme a molte altre cose che non conosciamo, anche se è così da sempre. La Francia non ha mai visto di buon grado la presenza italiana nel nord Africa, sin da quando abbiamo preso la Libia nel 1911-1912. Prima della Seconda guerra mondiale, Italo Balbo, che dal 1934 era governatore della Libia, non sapeva se tamponare il confine orientale od occidentale. Quando nel 1938 si iniziò a pensare alla difesa della colonia, si ritenne molto più pericoloso il settore ovest, cioè il confine con la Tunisia francese, piuttosto che il settore est, dove c’erano gli inglesi. Non a caso, Balbo creò un battaglione di paracadutisti libici, guidati dal generale dell’Aeronautica italiana, Goffredo Tonini, con i quali mise in atto un esercitazione di massa nella zona della Gefara, antistante il confine con la Tunisia. Fino alla sua neutralizzazione durante la guerra, la Francia è stata ritenuta molto più pericolosa, considerando tra l’altro che i suoi tentativi di penetrazione in Libia, da sud e da est, proseguirono anche dopo. Insomma, la Francia ci ha sempre un po’ tarpato le ali in nord Africa.

Considerando i recenti viaggi nel Paese di Salvini e Moavero Milanesi, pare che il governo abbia affrontato con decisione il dossier. È così?

Sì. Si tratta, come detto, di un approccio organico, ovvero selettivo e qualitativo per materia e per competenza. È l’intero governo che si sta muovendo. Prima, si muoveva solo il povero Minniti che faceva la parte degli altri e che non era nemmeno ben visto da tutti all’interno del suo stesso partito, da cui sono arrivate anche critiche aperte. Ora, non ci sono critiche ed è tutta la politica nazionale che si sta svolgendo in modo organico e sistematico.

Lo scopo della visita odierna, fanno sapere da Palazzo Baracchini, è procedere verso gli obiettivi di “stabilizzazione dell’aerea e contenimento dei flussi migratori”. Quanto sono connessi questi due elementi?

Sono estremamente legati. Il contenimento non si può fare senza accordi precisi e stabili con il governo libico e con i vari governi dell’area. Per farlo, serve stabilità, ma questa è impossibile fino a quando ci sarà l’anarchia di organizzazioni criminali (e non tribale, visto che a mio avviso le tribù c’entrano ben poco) e fino a quando l’area sarà campo fertile per le organizzazioni criminali che, a catena, con una spinta dal sub-Sahel spostano i migranti. Il contrasto ai consorzi criminali e la stabilizzazione sono premesse indispensabili affinché i governi possano stringere accordi sostenibili.

Questo si lega evidentemente alla missione in Niger. La ritiene un impegno rilevante per questa strategia di stabilizzazione e contenimento?

Certo, ed è importante proseguirla per i motivi e per le finalità con cui è nata fin dall’inizio. È importante che non si deformi. Dopo alcuni problemi, sembra che con l’incontro a Roma tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente del Niger Mahamadou Issoufou, i termini siano tornati quelli iniziali. Ora, la missione va proseguita.

E poi?

E poi, tornando alla Libia, bisognerebbe andare oltre, fino nelle zone del Fezzan che hanno bisogno di stabilizzazione, poiché anche da lì si origina il mercato degli schiavi, di poveri popoli prima incitati e poi trasportati, a ondate, dal Sudan e dal Niger, con almeno tra passaggi di mano che avvengono anche in Libia. Certo, l’Italia non può affrontare il problema da sola. Con amici che non sono amici ma infidi, ci troviamo a doverci arrangiare fin dove possiamo arrivare con le forze a nostra disposizione, e intendo non le forze militari, ma la capacità di stipulare accordi diplomatici che a sua volta prevede, almeno in fieri, una robustezza militare da poter manifestare e dispiegare.

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