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Fra Usa e Ue scoppia la pace. E ora? Lo spiega Simone Crolla (AmCham)

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“It’s great to be back on track with the Eu”. Così ha commentato il presidente Trump al termine di quella che doveva essere una visita di cortesia e invece si è trasformata in un impegno a ridurre i dazi e le barriere non tariffarie. Ecco il risultato dell’incontro tenutosi ieri a Washington tra il presidente americano Donald Trump e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Limitati, per il momento, i rischi di un’escalation commerciale tra le due sponde dell’Atlantico che era sembrata piuttosto concreta nelle ultime settimane.

Nel corso di una conferenza stampa congiunta, i due leader hanno confermato di avere raggiunto un accordo: Trump ha promesso di lavorare fianco a fianco con l’Ue per garantire una riduzione progressiva di dazi e sussidi commerciali, fino ad azzerarli sui beni industriali, mentre Juncker ha aggiunto che le due parti sospenderanno l’imposizione di nuovi dazi come parte dei negoziati commerciali in corso.

L’accordo, per il momento, fa felici tutti, soprattutto i detrattori di Donald Trump, che non hanno perso occasione per criticare le sue scelte di politica commerciale. Tuttavia, a riprova dell’“America first” che ha caratterizzato l’intera campagna elettorale del 2016, il presidente americano è riuscito a strappare la concessione di un aumento delle esportazioni di gas naturale liquefatto americano verso l’Europa (con un costo superiore, in media, del 20% rispetto ai prezzi del mercato internazionale). A questo si aggiunge la crescita dell’export di soia americana, nella giornata in cui la Casa Bianca ha dato il definitivo via libera a un piano di sostegno dal valore di 12 miliardi di dollari a favore dei farmers a stelle e strisce.

Nonostante ciò, quello di ieri è stato un successo per il Presidente di Business Europe Pierre Gattaz, che in una nota ha dichiarato che “alla fine la ragione ha prevalso”, perché eliminare le tariffe e le altre barriere al commercio e agli investimenti porterà benefici a imprese e cittadini di entrambe le sponde dell’Atlantico. Sulla stessa lunghezza d’onda la U.S. Chamber of Commerce, la cui posizione è sempre stata chiara. È del 26 giugno la lettera inviata al Congresso degli Stati Uniti, e sottoscritta da oltre 270 Associazioni di categoria e Camere di Commercio statali e locali, a supporto del “bill” proposto dal Sen. Bob Corker (R-Tennessee), il cui disegno di legge richiede che il Presidente debba sottoporre al Congresso ogni proposta “to raise tariffs in the interest of national security under Section 232 of the Trade Expansion Act of 1962”. Anche il Chairman della House Ways and Means Committee Kevin Brady (R-Texas) si è espresso in maniera favorevole ai risultati dell’incontro tra Trump e Juncker.

In questo frangente, non dimentichiamoci che permangono le tariffe per i beni che riguardano l’industria automobilistica. E su questo punto Trump non sembra intenzionato a cedere facilmente, come rimarcato durante la convention del Veterans of Foreign Wars di martedì a Kansas City, dove ha apostrofato gli europei come “groveling” (adulanti) sulla controversia dei dazi doganali. D’altronde Trump lo dice da sempre: l’attuale imposizione dei dazi sulle auto non è allineata tra Eu e USA, avendo l’Europa un dazio di importazione del 10%, ben superiore rispetto al 2,5% americano.

Per denunciare questa beffa commerciale, Trump ha da sempre invitato le case automobilistiche europee ad aumentare la produzione negli Stati Uniti, fedele al suo motto “Make America Great Again”. Tra i primi a rispondere al suo appello vi fu Sergio Marchionne che, lungimirante come sempre, nel 2017 varò un piano di investimenti da oltre un miliardo di dollari che avrebbe creato più di 2.000 posti di lavoro in Michigan e Ohio. Una simpatia reciproca, quella tra il compianto Ceo di Fca e il Presidente Trump, che ieri lo ha ricordato con un tweet “It was a great honor for me to get to know Sergio as POTUS, he loved the car industry, and fought hard for it. He will be truly missed”.

In queste fase di trattativa successiva al meeting di ieri, i rincari dei dazi su acciaio e alluminio, verranno rivalutati, ricordando che lo scorso anno le esportazioni italiane di acciaio e alluminio sono state pari a 760 milioni di euro, appena il 3,8% delle vendite realizzate all’estero.

Come AmCham a settembre daremo vita ad una “Trade & Tariffs Task Force”, volta a esaminare in maniera propositiva il negoziato che sperabilmente incomincerà dopo questo vertice, considerato che gli Stati Uniti rappresentano il terzo mercato per l’export italiano con un valore di 50 miliardi di dollari nel 2017 (9,3% del totale nazionale) e il primo per surplus commerciale, con un ammontare pari a 31,6 miliardi di dollari.

Il vertice ci sembra un passo significativo verso la ripresa di un vero dialogo transatlantico, ricordiamo che le economie Usa e Ue rappresentano quasi il 50% del Pil mondiale e circa un terzo dei flussi commerciali, non solo per azzerare le barriere allo scambio, ma anche per riscrivere un accordo geoeconomico partendo dalle ceneri del TTIP, magari non definendolo con un freddo acronimo, ma evidenziando le caratteristiche di crescita e benessere che questo comporterebbe.

La nostra convinzione e il nostro augurio è poter creare per la prima volta nella storia una special relationship tra gli Stati Uniti e l’Italia all’interno di una strategia transatlantica. La visita del Premier Conte non poteva che ottenere un viatico migliore, essendo il primo capo di Governo ad incontrare il Presidente Trump dopo il vertice di ieri, in rappresentanza dell’ottava economia mondiale e partner commerciale privilegiato degli Stati Uniti.
In conclusione, come twittato da Trump: “This was a big day for free and fair trade”.


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