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La Chiesa e le vergini. La sfida di una vocazione antica ma non anacronistica

Parlare di vocazione alla verginità oggi, in una società dove l’evoluzione dei costumi non ha portato solamente a una concezione libertina della vita, spesso tanto spinta quanto radicata nell’omologazione di massa, ma anche a un iper-sessualizzazione di molti contesti sociali e di altrettanti prodotti culturali, dalla pubblicità alla televisione fino al più recente mondo della rete e dei social media, può sembrare a molti una follia. O perlomeno, un anacronismo. Ma stando all’ascolto di racconti di cronaca in cui si parla di “prima sposa single d’Italia”, dove cioè appare l’immagine di una ragazza da sola all’altare e intenta ad unirsi in matrimonio con se stessa, quasi a voler significare che in futuro ce ne dovremo aspettare altre, non è detto che tutto sommato l’opinione non possa cambiare. O perlomeno considerare una sfumatura diversa dai luoghi comuni maggiormente condivisi, nella conseguente speranza del risveglio di una coscienza critica.

L’ISTRUZIONE “ECCLESIAE SPONSAE IMAGO”

È quanto avrà sicuramente pensato qualcuno in Vaticano, seppure tra sé e sé, nel presentare l’Istruzione “Ecclesiae Sponsae Imago” sull’“Ordo Virginum”, ovvero un particolare modello di donne consacrate nella Chiesa di oggi. Una condizione di vita ecclesiale istituzionalizzata solamente nel maggio del ’70 attraverso il decreto formulato da Paolo VI, riprendendo tuttavia un’usanza risalente alle prime Comunità apostoliche, indicata perfino in alcuni passi del Vangelo. Infatti, prima del “rito della consacrazione delle vergini” celebrato da Papa Montini, alle consacrate era concessa solamente la vita claustrale in monastero. Questo stato di cose, però, a conti fatti portava al venire meno del radicamento della donna nella vita della comunità cristiana, e quindi nella possibilità di offrire liberamente il proprio servizio al prossimo e alla società in generale.

L’ORDO VIRGINUM NELLA STORIA DELLA CHIESA

Fu soltanto grazie all’impulso del Concilio Vaticano II che venne concessa dalla Chiesa la possibilità di vivere questo tipo di vocazione alla verginità pienamente all’interno del proprio contesto di vita. “L’elemento peculiare dell’Ordo virginum è che il carisma della verginità si armonizza con il carisma proprio di ciascuna consacrata, dando luogo ad una grande varietà di risposte alla vocazione, in una libertà creativa che esige senso di responsabilità ed esercizio di un serio discernimento spirituale”, spiega infatti il segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società, il monsignore francescano José Rodríguez Carballo. “L’aver riproposto questa forma di vita nella Chiesa sembra un anacronismo, ma è un atto di fiducia nell’azione dello Spirito, che sta conducendo molte donne ad accogliere e interpretare tale vocazione alla luce del cammino compiuto dalla Chiesa nei secoli e secondo le esigenze dell’attuale contesto storico: si tratta di una vera via di santificazione, affascinante ed esigente”, aggiunge.

LA VOCAZIONE ALLA VERGINITÀ OGGI

Oggi, il numero delle consacrate nella Chiesa, “in continua crescita”, corrisponde a circa cinquemila diffuse in tutto il mondo, distribuite in tutti i continenti e in contesti sociali radicalmente diversi tra loro. Nel 2020 si prevede un grande incontro a Roma per festeggiare i cinquant’anni di quest’istituzione formale nella Chiesa moderna. Il documento appena pubblicato è il primo che ne approfondisce la fisionomia, dopo il ripristino nel ’70 di questa antica forma di vita consacrata, e risponde alle richieste dei vescovi e delle stesse donne consacrate, Ma soprattutto vuole mettere al centro “la bellezza di questa vocazione” di cui “tante donne fanno quotidianamente esperienza”, come afferma il prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, il cardinale brasiliano João Braz de Aviz.

SCELTA CHE “HA RIVELATO UNA SORPRENDENTE FORZA DI ATTRAZIONE”

Una decisione di vita che oggi a molti, in particolare se lontani dalla vita cristiana, può apparire bizzarra o incomprensibile, ma che tuttavia, “ripresa dopo molti secoli e in un contesto storico, sociale ed ecclesiale radicalmente mutato, ha rivelato una sorprendente forza di attrazione“, spiega Carballo. Nei primi secoli della Chiesa, infatti, si trattava di una scelta che “fioriva spontaneamente” e che per tale ragione era riconosciuta al pari degli altri Ordini, come quelli di vescovi, presbiteri o diaconi. E furono molte le Vergini consacrate che per la propria scelta di fede subirono barbaramente il martirio, donne che vengono indicate nome per nome all’interno del documento. Il titolo loro affidato, viene spiegato, era quello di Sponsa Christi, perché era proprio su di loro che rifletteva l’immagine stessa dell’intera Chiesa.

L’ATTENZIONE ALLA VALORIZZAZIONE DEI DIVERSI CONTESTI

Arrivati ad oggi, invece, questa identità vocazionale per la Chiesa “deve essere custodita rispettando e valorizzando la diversità dei contesti ecclesiali, culturali e sociali in cui il carisma si esprime, e tenendo conto delle situazioni locali”. Mantenendo pur sempre chiara la propria vocazione, nella fede a Dio e alla Chiesa, e nella semplicità radicale di una vita evangelica. Assieme a “uno sguardo contemplativo sulla realtà”, grazie al quale queste donne diventano “partecipi delle gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini del proprio tempo, specialmente dei più poveri, e contribuiscono al rinnovamento della cultura secondo lo spirito del Vangelo”, si legge nella nota apparsa assieme al testo del documento. “Chiamate nella Sequela Christi ad abbracciare il suo stile di vita casto, povero e obbediente, le consacrate si dedicano alla preghiera, alla penitenza, alle opere di misericordia e all’apostolato, ciascuna secondo i propri carismi, accogliendo il Vangelo come regola fondamentale per la loro vita”, è la descrizione, breve e sintetica, di questa antica missione.

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