C’è una stanchezza oggettiva, quasi banale, nel dibattito culturale e politico ed è data dalla carenza di “intellettuali pubblici”. I cosiddetti intellettuali, quelli classicamente intesi, sono ormai “servi” del Principe di turno, megafoni di Verità che altri emettono per loro, banali terminali ripetitori.
La realtà non sembra più interessare granché proprio nel momento in cui ci travolge. Siamo in un tempo di grandi miserie e di grandi sfide e a farne le spese è lo “spazio pubblico”, quello che dovrebbe essere lo spazio naturale degli intellettuali degni di questo nome.
Si pensi all’Europa; da grande progetto visionario, il Vecchio Continente si è trasformato in una pericolosa “assenza geopolitica”. L’Europa non c’è sotto tutti punti di vista; ciò che ci arriva sono le decisioni stanche, e molto spesso incomprensibili, di caste che si combattono un potere del tutto sovrastante la realtà di Stati troppo piccoli per stare da soli. L’Europa è al buio. Gli intellettuali europei, di grande tradizione, sembrano muti nel presente e del tutto incapaci di futuro.
Ci sono molti “focolai progettuali” accesi; ci sono movimenti di ripensamento dell’Europa e di uno spazio pubblico europeo. Oggi il problema è ri-fondativo, null’altro; non basta mettere pezze su un corpo malato (le continue riforme) ma occorre ripensare l’Europa in un contesto che è perennemente bellico; non viviamo guerre fisiche tra eserciti ma l’Europa, ben lo sappiamo, è tutt’altro che pacificata.
La mia visione è che gli “intellettuali pubblici” si riprendano l’Europa; è questione di senso, di significato, di visione, di progettualità. Poi verranno anche le riforme, oggi costruite sul dramma del “niente sostanziale”.